Sentimenti dall’anno che è passato

Forse cominciamo cautamente a uscire, ma io lavoro ancora da casa perché l’uso di internet consente di abbattere i costi, i tempi, le fatiche, e favorisce la possibilità di partecipazione.
L’anno scorso scrivevo Parole da casa. Come sempre molte delle cose scritte non le ho messe sul blog. Recupero tra i tanti un pezzo scritto in ottobre 2020 perché l’amore non deve essere nascosto, anche se ha i suoi sospiri.
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Quando la luce ci abbaglia

Quando la luce ti abbaglia per vedere davvero devi guardare nella penombra.
Questa è la frase emersa nella mia vita in questi giorni, mentre si conclude il 2020 e come ogni anno la luce si fa più breve nella giornata, qui dove abito, mentre noi ci prepariamo a festeggiarla con riti antichi e nuovi.
Siamo abituati da anni alle luci abbaglianti nei luoghi del consumo, luci che ci guidano al consumo disegnando i tracciati di ogni vita in un’apparente uguaglianza tra chi ha potere sulla merce, chi possiede la merce, chi è servizio alla merce, chi è sfruttato dalla merce, chi aspira alla merce.
L’irruzione del Covid 19 ha inceppato gli ingranaggi ma noi siamo ancora accecate e accecati dalla luce che abbaglia.
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Se dico casa … 2013

Se dico casa
dico cose
fioriture screziate di rose gialle
e pigri maggiolini
bave lucenti di lumaca
nel sottobosco minuscolo
di un solo biancospino
il cucù
che sparisce nella sua porticina
la bambina che esce sul poggiolo col sole
e d’inverno torna nella sua casina
 
Se dico casa
dico bucati
profumo di sapone nei mastelli
e braccia femminili a torcere lenzuola
immagino serve e serve nei castelli

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Ultima puntata di parole da casa: dedicata a Cortenuova

Parliamo continuamente di comunità: virtuali, identitarie, perfino ideologiche, nonostante sia stata dichiarata la morte delle ideologie, e non sappiamo più come vivere comunità fatte di prossimità fisica.
Superata, almeno in apparenza, la comunità che operava il controllo sui comportamenti e definiva condanne ingiuriose, ostracismi, solitudini, resta la comune fruizione di servizi a cui si accede singolarmente o nella singolitudine famigliare, chiusa come un fortilizio, e ci si ritrova come collettività in rare e sbiadite occasioni pubbliche o, al massimo, per protestare contro una minaccia.
Il coronavirus è una minaccia che ci ha chiusi in casa più di quanto non lo fossimo già e la casa, luogo fondamentale di sopravvivenza, quando è chiusa rischia sempre di diventare piccolo circuito di ossessioni, per la pulizia, per la sicurezza, per la ricchezza ostentata e mai goduta, per la dissimulazione dei problemi, luogo di reclusione agiata, di vuoto, di rituali insoddisfacenti.
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La scuola per un mondo possibile

A un certo punto bisogna concludere, anche sapendo che molte cose mancano. Da molto tempo cercavo di non pensare alla scuola per non reiterare sentimenti di impotenza e delusione, consapevole che la mia posizione sociale oggi mi pone nella condizione di un’ex insegnante che non conta nulla. Quest’esercizio di scrittura, di cui vedo tutte le lacune, si ferma qui. Sono grata ad Alessandra Bocchetti per avermelo chiesto e per aver rimesso in moto pensieri che hanno lievitato per anni, perfino a mia insaputa. Ciò che oggi non sembra possibile potrebbe diventare ovvio domani, per questo continuo a fare la mia parte e cerco di farla onestamente evitando di fare danno, così come ho insegnato a scuola.

QUALE SCUOLA PER QUALE SOCIETÀ?
 
Paura, prudenza, coraggio: abbiamo bisogno di accompagnare la sequenza dei nostri sentimenti fino a ritrovare l’azione che nasce dal cuore, mantenendo il pensiero in sintonia con il ritmo della vita che misteriosamente prescinde dalle nostre decisioni eppure ne è sempre condizionato.
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Se parliamo di economia la scuola è in credito

Nei mesi della pandemia la scuola non ha chiuso, è stata un presidio sociale e sanitario che ha saputo reinventare le forme della sua esistenza mantenendo, anche a distanza, la sua funzione con un lavoro del personale del tutto inedito e, va ricordato, in forme impreviste dal contratto, con una capacità di lavoro e un ventaglio di competenze che smentiscono, spero per sempre, anche gli ultimi residui dell’odiosa campagna che indicava nelle/negli insegnanti i primi fannulloni di tutta la categoria delle/dei dipendenti pubblici.
Come tutti i presidi sanitari (soprattutto pubblici), le scuole hanno prodotto un superlavoro, un surplus di impegno, tempo dedicato, creatività e competenza, sostegno affettivo e inventiva culturale. Le scuole non hanno chiuso i battenti ma solo gli edifici.
Come tutta la sanità la scuola era già in credito da molti anni: credito di edifici, di personale, di attenzione politica.
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Parole da casa: abbiamo conquistato l’emancipazione, ora usciamo dal patriarcato

Dietro di noi abbiamo generazioni di donne che hanno lottato e lottato e lottato, in casa e fuori casa, in solitudine e in collettività politiche, per salvare la propria vita, per la vita di tutte le donne, per la vita di tutti i nati e nate da donna sul pianeta, per la vita del pianeta.
Veniamo da una lunghissima storia di conquiste e sconfitte e la sconfitta delle donne ha sempre significato sconfitta di una società intera, guerra, morte, distruzione, genocidio, paura.
Abbiamo ricominciato ogni volta da noi, dalle nostre case, dalle nostre, vite, cambiando relazioni, quotidianità, leggi.
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Segnatempo per la scuola

Pensiamo il territorio per differenze, il viaggio per tappe, il tempo per date e durate.
La parola segnatempo non esiste ma l’ho inventata, orecchiando il segnaposto, perché noi inventiamo momenti, quelli che oggi chiamiamo impropriamente eventi, per segnare i passaggi importanti personali e collettivi.
Nello scorrere dei giorni scolastici ricordiamo qualche imprevisto, qualche incontro e i momenti collettivi come le gite scolastiche e le cerimonie o feste che hanno segnato il passaggio a un diverso ordine scolastico che rappresenta un passaggio d’età, di responsabilità, esperienze, e a un certo punto scelte.
Apriamo la possibilità della movida ma non riusciamo a pensare collettivamente un rito di passaggio per i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze che lo scorrere inesorabile del tempo, quindi l’età, trasferirà a settembre in un mondo scolastico diverso.
Al massimo la discussione si è stanziata sugli esami in presenza senza pensare che gli esami sono anche un passaggio cruciale nelle relazioni tra una collettività di adulti, insegnanti, e quella di allieve e allievi.
Non ho sentito una parola sulla dignità della relazione affettiva intrinseca ad ogni relazione educativa senza la quale l’insegnamento sarebbe solo addestramento e l’apprendimento occasionale memorizzazione.
Perché il 2 giugno, dal quale viene finalmente cancellata la parata di mezzi militari, di fatto incongruente con l’art. 11 della Costituzione, non festeggiamo la scuola e insieme alla scuola tutti i lavori della riproduzione sociale che abbiamo dovuto onorare come indispensabili?
Perché per settembre non viene pensata una festa della scuola, collettiva e diffusa, nelle case dove tutte e tutti abbiamo cominciato il nostro apprendimento della vita, dalle case dove siamo rimasti in protezione?
Invece di spaccare il capello in quattro per pensare la valutazione a distanza, operazione impervia fino al ridicolo, perché non diffondiamo la proposta di pensare a una festa, sicura per la nostra salute, creativa per la libertà dei talenti, nutriente per la vita collettiva democratica e la speranza del futuro che comunque le nuove generazioni rappresentano?