Il mio 25 aprile quest’anno è cominciato giovedì 20 a Milano, alla biblioteca Valvassori Peroni, dove donne e uomini, nonostante una pioggia torrenziale, sono venuti ad ascoltare la storia di Lidia Menapace ricordata da me e dalla nipote, Marta Brisca, con le lettrici di EquiVoci, attraverso il libro della Fondazione Serughetti La Porta, intitolato con le sue parole: Non manchiamo il nostro tempo”.
Ed essere presenti al nostro tempo è certamente il sentimento che ha portato molte donne e uomini ieri sera, venerdì 21, all’iniziativa organizzata dall’ANPI di Mapello, dove ho raccontato la Resistenza delle donne (che sostiene sollecita e per molti versi genera anche quella degli uomini) a un pubblico generoso di domande intelligenti, profonde, attuali.
Alle donne e uomini incontrati e che incontrerò, perché il mio 25 aprile si concluderà a Badia Polesine venerdì 28 con le amiche e gli amici del Centro di Documentazione Polesano, che frequento da almeno quindici anni, dedico queste parole del 2020.
Scritte nella segregazione dovuta al Covid, quando abbiamo cantato e fatto risuonare le note di Bella ciao dai balconi e dai cortili senza poterci incontrare, possono risuonare oggi per ricordarci che i grandi cambiamenti crescono a lungo come semi nel buio della terra e nel quotidiano silenzioso delle case, per sbocciare in una primavera imprevista con l’energia di generazioni nuove, che non sono solo appartenenza anagrafiche ad un’età giovane ma, soprattutto, l’insopprimibile desiderio di rigenerazione della libertà che continua a muovere ogni vita misteriosamente nella solida solidarietà degli incontri e delle condivisioni.
Le case della Resistenza
La Resistenza venne preparata e sostenuta in casa, dalle donne che nascosero i soldati italiani, salvandoli dalla deportazione dopo l’8 settembre, e poi i ragazzi renitenti alla leva della repubblica di Salò; nelle case dove le donne organizzarono la sopravvivenza quotidiana, il sostegno alle bande partigiane, la diffusione della stampa clandestina, i piani di fuga dai campi fascisti per i prigionieri alleati e per gli ebrei braccati dalle leggi razziste, nelle case dove le donne governavano i rapporti di vicinato, lo scambio solidale, crescevano bambini e bambine insieme al desiderio di pace e libertà.
Nelle case contadine dove donne di tutte le età, insieme a uomini anziani, bambine e bambini, hanno continuato tutte le attività dell’agricoltura e hanno garantito la sopravvivenza delle comunità, costituendo presidi di nuova civiltà al tempo del terrore nazifascista.
Negli appartamenti di città dove le donne partecipavano a riunioni clandestine e ne organizzavano la possibilità materiale, predisponendo letti, cibo, rifugi, depistaggi, camuffamenti salvifici.
Nelle case sono state prese le decisioni, dalle case sono spesso partite le rivolte organizzate dalle donne nel passaparola del vicinato.
Nelle case le madri hanno sostenuto le figlie e le loro libere scelte, le nonne hanno approvato il coraggio delle nipoti.
Nelle case donne e uomini, ragazze e ragazzi, si sono scoperti pari nelle responsabilità e vicini negli ideali.
Nelle case gli uomini sono stati accuditi, ascoltati, sostenuti, curati, hanno trovato nelle donne compagne di strada, dirigenti politiche, capitane di brigata.
Nelle case sono stati cresciuti e accuditi il coraggio e la determinazione, la speranza e la compassione, le parole di una politica nuova che ha generato democrazia. Nelle case le donne hanno mutato le relazioni con gli uomini, con i padri e le madri, i figli e le figlie, fratelli e sorelle, generando relazioni più eque e possibilità amorevoli.
Le case sono state i nodi di una tessitura di percorsi clandestini tra città e montagna, tra la pianura e la fuga, tra la lotta e il riparo. Dalle case uscivano le donne in bicicletta, staffette instancabili che tracciavano la mappa di una resistenza a cui garantivano armi, informazioni, protezione, cibo e abiti puliti, costituendo e ricostituendo la rete delle comunicazioni e della sopravvivenza. Nelle case le donne partigiane hanno presidiato il territorio per salvare vita, a prezzo della vita.
Le case sono state devastate dalle delazioni, svuotate da chi organizzava stragi, bruciate per ritorsione perché rappresentavano la base sicura per le bande partigiane. Le case si sono riempite del dolore per gli uomini uccisi, per le donne uccise: figli e figlie, mariti e mogli, padri e madri, sorelle e fratelli, amiche e amici cari. Anche bambine e bambini, molti, troppi.
Il rischio, la tortura, la morte riguardavano uomini e donne, senza riguardo. Per le donne si aggiungeva lo stupro e poi ci sarà la discriminazione, ancora, la derisione, la cancellazione, l’insofferenza per la loro esistenza libera.
Le case sono state la rete di resistenza clandestina in cui le donne hanno reso visibile la concretezza dell’intelligenza politica, la lungimiranza dell’umanità, la solidarietà che costruisce società civile.
E quando tutto è finito nelle case sono tornati i reduci dai campi di prigionia e gli uomini segnati dalla guerra, le donne e gli uomini sopravvissuti ai campi di sterminio, nelle case si è cominciata la ricostruzione materiale e morale.
E sempre a fare casa c’erano le donne, capaci di fare casa per tutti, anche per sé stesse, capaci di scegliere solitudini attive e dignitose invece di piegarsi alle consuetudini mortificanti in cui si tornava a infilare la vita come se nulla fosse accaduto.
La resistenza è stata clandestina e diffusa; le sfilate vittoriose sono solo un momento, sono il tempo delle fotografie, dell’incontro, dello scambio, del giusto orgoglio, sono il momento di festa per riprendere fiato, sono il gesto simbolico da conservare nella memoria che ha fondato un nuovo patto tra abitanti di un territorio finalmente in pace.
Sono cresciuti nelle case quei sentimenti di giustizia e libertà che sarebbero diventati l’habitat fondativo della Repubblica democratica nella Costituzione.
Il 25 aprile è l’eredità che passiamo alle nuove generazioni.
Talvolta negli anni sono prevalsi riti infarciti di retorica, parole e scelte incapaci di opporsi alla falsificazione della realtà riproposte con arroganza dalle nuove e vecchie destre.
E le donne sempre un po’ di lato, aggiunte, oggetto di approfondimenti benemeriti e ignorati.
Alle piazze potremo tornare con maggiore consapevolezza se sapremo vedere e comprendere davvero dove siamo oggi, quale eredità trasmettiamo in quel laboratorio politico di vita quotidiana che sono le nostre case, singole e vicine, come noi, che pur distanti respiriamo la stessa aria, possiamo guardarci dai balconi, lavorare e cantare insieme. E lottare insieme per ciò che è giusto.
La casa è lo spazio della nostra sopravvivenza e le parole della Costituzione, l’eredità della Resistenza, possiamo cominciare a misurarle qui, nelle nostre case, a praticarle nel rapporto tra spazi e abitanti, ambiente e riproduzione, risorse e penuria, democrazia delle relazioni e dignità della cittadinanza, giustizia delle possibilità ed economie solidali disegnando un territorio accogliente e comunità attive in armonia con la terra che abitiamo.
Noi non viviamo in clandestinità ma talvolta lo siamo, quando il dolore diventa solitudine, la malattia isolamento, la vecchiaia segregazione, la giovinezza mortificazione, la vita sfruttamento.
I riti della memoria in cui ci riconosciamo il 25 aprile possono diventare l’opportunità di ripercorrere la realtà della Resistenza, quella civiltà delle idee sopravvissuta e cresciuta proprio nel segreto delle case duranti i lunghi anni del fascismo, nell’ingiusta reclusione delle carceri e del confino, nella tristezza dell’esilio, diventata azione solidale, fermento diffuso e generativo di una straordinaria trasformazione e poi consapevolezza politica nei venti mesi in cui l’Italia vive la guerra di liberazione dal nazifascismo.
Ripercorrere la nostra storia così come si è costruita, di casa in casa fino a conquistare le piazze e le istituzioni, in una presenza che diventa azione e si rende visibile senza scadere in esibizione: questa è l’eredità che possiamo prendere in mano e lasciare alle ragazze e ai ragazzi che già preparano, perfino senza saperlo, il mondo che verrà.
Ricordando che le donne esistono dai tempi dei tempi e non sono incluse nella parola uomo, infatti si chiamano donne.