Quando entro in classe il primo giorno di solito sono seduti in ordine nei banchi e mi guardano in rispettosa attesa: in terza superiore è raro che qualcuno non abbia già interiorizzato come “naturale” il modello scolastico, in fondo ancora ancorato a “ordine e disciplina” e se c’è qualche trasgressione si tratta di un maldestro rito di accoglienza per esorcizzare inconfessabili timori del nuovo.
Io arrivo con borsa e cartella, che nel corso degli anni mi hanno proposto di sostituire con valigia o perfino carriola, data l’entità strabordante del contenuto, e immagino dietro gli sguardi quietamente muti il ticchettio dei pensieri: “come sarà questa? Alta o bassa nei voti? Accetterà le programmate? E i volontari?…” e così via con tutti i rituali dell’insegnamento e gli stereotipi sugli/sulle insegnanti.
Stanno lì in attesa che io spieghi, enunci, cominci…
E io comincio da loro, da quello che pensano delle due discipline che affronteremo insieme utilizzando tutti gli strumenti che mi sembrano proponibili per indagare insieme il loro/ nostro immaginario sulla storia e la letteratura.
Cos’è la storia ? Parole, frasi, immagini s’incontrano sui cartelloni e nella discussione che accompagna il muoversi dei corpi intorno a un fare/pensare che destruttura spazio e pensieri.
Il dopo, per noi, nel necessario confronto/scontro con i vincoli dei programmi ministeriali, è comunque ogni anno diverso.
All’inizio lo zainetto è leggero, il mio e il loro: un raccoglitore ad anelli, pochi fogli, cartelloni bianchi, strisce di carta (qualcuna già predisposto per la costruzione di cronologie), pennarelli, poi il mio si appesantisce di libri, videocassette o altro, le fonti insomma, il loro raccoglitore si gonfia di fotocopie e di lavori di costruzione e decostruzione del “sapere storico” mentre le pareti si coprono di cartelloni.
Ogni classe reinventa gli strumenti a suo modo piegandoli alle proprie esigenze di narrazione segnate profondamente dalle soggettività che sperimentano il gruppo come luogo di incontro/scontro, elaborazione/mediazione.
Il mio lavoro, anche per me un ticchettio ininterrotto di pensieri, consiste nel portare le indicazioni, gli strumenti, i testi adeguati alle loro domande, percorribili autonomamente o con una mia guida “discreta”.
Il tempo del dubbio, della riflessione, della ricerca è per me la solitudine dei pomeriggi in cui preparo lo zainetto, in classe cerco di dare indicazioni chiare e precise e il tempo più importante è quello dell’ascolto. Mentre lavorano in gruppo passo tra i banchi, mi faccio accettare nella discussione, propongo qualche nuova indicazione, spesso “disturbo” e “distraggo” forse perché invidio la loro sicura operosità, quel mondo che certamente vedono e io posso a malapena intuire.
Tra le cose che porto non dimentico mai i libri che mi piacciono: scelgo qualche frase e la leggo ogni tanto come regalo mattutino.
Dei libri che prendiamo in mano guardiamo sempre la copertina, le coordinate editoriali, la presentazione dell’autore, i più apprezzati sono quelli che dicono come e perché hanno scritto, la soggettività dell’autore rende più leggibile il contenuto, più trasparente e più onesto, dicono loro.
Non ho mai utilizzato il manuale e non ne ho sentito la mancanza, ma l’anno scorso ne ho adottato uno perché sono in una scuola nuova e non ho voglia di ricominciare vecchie battaglie.
Alice, limpida e serena, che ama i libri gialli, ha subito apprezzato l’introduzione chiara e onesta dell’autore, Giovanni De Luna, e mi ha pacificata con la mia sofferta scelta.
Sono utili il registratore, il computer e la macchina fotografica, strumenti con i quali ho familiarizzato in tempi diversi superando diffidenze o defatiganti passioni.
Il registratore mi è servito a governare le mie diverse passioni per storia e storie e riascoltare, trascrivere, leggere mette in diretto contatto con la produzione della fonte, la sua complessità e ambiguità.
La macchina fotografica la uso ogni tanto per coglierle/i in momenti particolari, quasi sempre gioiosi. Il computer raccoglie finalmente la mia memoria scolastica e sta diventando per molti di loro uno strumento naturale come la penna.
Non dimenticare il video, direi ad una giovane insegnante, perché tv e cinema costituiscono molto dell’immaginario storico ed è fondamentale conoscerne gli alfabeti.
Mi piacerebbe avere il tappeto per “chiacchierare” di storia ma sono riuscita ad usarlo solo con una classe e ho imparato che gli “oggetti dei desideri” possono essere solo condivisi e la “trasgressione” delle regole scolastiche implicite ed esplicite è uno dei terreni della loro crescita e non si può invadere ma solo visitare se invitati.
La ricerca della condivisione del senso di ciò che facciamo, di ciò che accade in classe, è la traccia più importante che lascerei per la nostra giovane insegnante e le direi di non dimenticare il quaderno tutto per sé, per scrivere, annotare, disegnare, scarabocchiare, tracciare le proprie emozioni, reazioni, stanchezze, sorprese di in-segnante.
Nello zainetto della scuola superiore non è possibile non mettere i programmi.
Quale suggerimento in poche parole? Partire sempre da loro, allieve e allievi, le rilevanze del loro presente sono utilissime, anzi indispensabili per selezionare temi, contenuti, domande, anche relativi al passato più lontano.
Sono abbastanza grandi per prendere in mano i programmi e aiutarci a costruire un piano di lavoro praticabile e verificabile, sono abbastanza grandi per pormi domande vere e qualche volta tenermi sveglia la notte.