Cose da uomini (di Stato), l’esibizione di Gheddafi con il suo pari Berlusconi davanti ad un pubblico femminile prezzolato.
Voglio guardare al tristo evento dall’altro punto di vista.
Perché 500 ragazze sono disposte a vendersi? Sono alla fame, hanno figli piccoli, genitori indigenti, sono ricattate, in pericolo di vita o altro che giustifichi la loro azione?
Nel mio immaginario sono tutte o quasi diplomate, forse persino laureate, con famiglia e amici soccorrevoli, un tetto sulla testa, tre pasti al giorno e un po’ di superfluo. Che cosa dunque le convince a prestarsi ad una delle tante farse del potere che non potrebbero stare in piedi senza le donne come comprimarie?
Leggendo la cronaca mi è tornato alla memoria un episodio raccontato da una ragazza che ha vissuto la seconda guerra mondiale.
Lavoratori pendolari e l’inverno che la guerra faceva più duro: arrivavano in bicicletta dai paesi vicini fino alla stazione di Romano Lombardo e salivano sui carri bestiame per andare a lavorare a Milano.
Le ragazze erano poche, la sua amica viaggiava in prima classe con i tedeschi e la invitava a salire con lei, stupita del suo rifiuto.
Aveva fatto la quarta elementare, faceva l’operaia e d’inverno le venivano i geloni, ma non accettò mai di viaggiare con la sua amica. Ricordo lo sguardo stupito e sospettoso quando le chiesi “perché?”. Per lei era ovvio, non sapeva spiegarlo a parole, non era ‘istruita’, rispondeva con espressioni ed esclamazioni. “Eri antifascista?” ho insistito, suggerendole una nobile motivazione politica, ma non ha afferrato l’occasione per mettersi una medaglietta: non era fascista e non le piacevano i tedeschi, ma detestava soprattutto la guerra, il motivo per cui non viaggiava in prima classe era diverso, più profondo, più personale. “Preferivo essere di quelli del carro bestiame, uguale agli altri, mi sarei vergognata di approfittare”. Nella sua lingua si poteva parlare di sé solo in negativo.
Il femminismo mi ha insegnato le parole per raccontare la sua storia che si può intitolare: DIGNITA’, la radice della cittadinanza.
Quella ragazza era mia madre. La vita in questo Paese non ha riconosciuto la sua dignità, i suoi geloni e nemmeno il suo lavoro. Andò in pensione con poco più della minima riconosciuta alle casalinghe, perché i datori di lavoro conteggiano le ore produttive e non quelle che tu strappi alla tua vita per arrivare a produrre; portò per molti anni gli abiti smessi della sua amica che, godendo di buone conoscenze, fece un buon matrimonio; non ebbe né pellicce né gioielli e nemmeno una casa in proprietà, ma era soddisfatta della sua vita.
E’ morta quando il berlusconismo era già il cancro che conosciamo e la parola successo cominciava a diventare sinonimo di libertà.
Per lei la libertà era non doversi vendere a nessuno.
Mi ha insegnato a cercare di capire prima di giudicare: in questa vicenda il modo di agire degli uomini mi è chiarissimo e altrettanto lo è il mio giudizio, che sostiene la duratura indignazione condivisa con tanti cittadini e cittadine.
Alle ragazze invece chiedo: perché? Quali bisogni, desideri, necessità del corpo e dell’anima, spingono a vendersi su questo mercato?
Che cosa rende così potenti i potenti?
Se ragioniamo in termini economici, in questa vicenda il plusvalore, aggiunto al delirio finto religioso di un dittatore favorito da un capobranco che aspira a diventarlo, è proprio la possibilità di comprare le ragazze.
L’ennesima dimostrazione che tutti e sempre hanno un prezzo.
La cappa triste che è progressivamente calata su questo Paese è favorita dalla diffusa rassegnazione alla cancellazione dei diritti e delle stesse forme antropologiche della cittadinanza.
Chi detiene il potere della comunicazione rende visibili i corpi in vendita e non la resistenza di chi sceglie di dire NO.
Ma nell’ambiguità dei luoghi in cui si esercita il potere pubblico c’è anche chi s’indigna per la perdita dei valori, dimenticando che l’onore maschile era ed è la pratica della guerra, privata e pubblica, per la difesa del proprio diritto di proprietà sulla terra e sulla donna.
Sta tornando infatti il moralismo, a destra ma anche nella sinistra, nei confronti della prostituzione sessuale mentre si collude con tutte le forme di prostituzione dell’immagine e del pensiero.
Le ragazze e i ragazzi che sono pronti a vendersi con tanta disinvoltura per pagarsi gli studi o una vacanza, i desideri o il lusso, sono figli e figlie di adulti che hanno fatto del mercato una chiesa e delle sue regole le norme di vita.
Così forse possiamo pensare che non si è inceppato il meccanismo di trasmissione dei valori della democrazia, ma che proprio l’asservimento totalizzante al mercato da parte delle giovani generazioni è il disvelamento dell’ipocrisia, della doppia morale che attraversa istituzioni e comportamenti degli adulti, proclamata dal sistema patriarcale che ha trovato nel capitalismo uno straordinario e rinnovato alimento.
La mia domanda alle ragazze non nasce perciò dall’indignazione, perché loro occupano solo l’ultimo gradino del mercato: sono offesa e danneggiata, simbolicamente e materialmente, dalle donne che occupano lo scambio mercantile ai livelli più alti della piramide, nei luoghi di governo delle istituzioni democratiche come delle aziende private, molto più che da quattro veline o da una libera prostituta.
Ma sul gradino più basso siamo in tante e senza il nostro quotidiano assenso non si regge chi sta in cima.
Immaginiamo il potere su un bilancia perché, come insegnano i classici, la fonte è ciascun individuo: se sottraiamo la nostra personale quota di potere al piatto della bilancia di chi ne assomma già tanto scopriamo che il Potere non è un monolite, ma un composto friabile e frazionabile, scopriamo che il potere dei potenti è fatto da noi.
Nella vicenda da cui sono partita le ragazze sono scomparse dalle notizie come dal dibattito: cosa sarebbe accaduto se tutte avessero detto NO?
Mia madre tanti anni fa l’ha fatto, per la sua dignità diceva, ma così, insieme a tante altre e altri ha sconfitto il fascismo e il nazismo.
Gli uomini dimenticano troppo spesso che le donne sono determinanti, sempre, perché sono l’imprevisto nella storia che le ignora.
Ma perché se lo dimenticano anche le donne?
In “Su la testa” settembre 2010