Quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituisce la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, possiamo considerata conclusa una lunghissima fase di lotte del movimento delle donne in tutto il mondo.
Noi che siamo state dentro le lotte, le abbiamo promosse e accompagnate, abbiamo agito in modo diffuso e invisibile chiedendo visibilità, misuriamo talvolta la pochezza dei risultati dal numero costante delle donne uccise, dalla violenza sommersa che ferisce troppe vite, dalla lentezza della giustizia, dall’arretratezza dei tribunali, dall’incompetenza dei servizi, dalla malafede dell’informazione, dalla superficialità di chi guarda senza vedere.
È giusto, perché noi sappiamo cosa c’è dietro la notizia di femminicidio e cosa c’è dopo, per chi resta, noi sappiamo quanto è lungo e faticoso il cammino per sottrarsi alla violenza, sappiamo quali e quanti stereotipi ci troviamo a smontare perché passi un’informazione seria, sappiamo quanto siano ancora poco ascoltate le competenze che vengono da una riflessione condivisa, da esperienze di ascolto che mutano il nostro sguardo ogni volta.
Eppure in questa giornata dovremmo ricordare anche ciò che abbiamo saputo conquistare senza dichiarare guerra, senza prendere le armi, senza invadere territori, senza lasciarci sopraffare dall’odio o dall’impotenza.
Solo pochi anni fa erano solo le associazioni delle donne a tenere un archivio dei casi di femminicidio perché non esisteva un impegno istituzionale su questo fenomeno.
Quando presentiamo i numeri incontriamo ancora una sorpresa generalizzata e dobbiamo ricordare che oggi il fenomeno comincia ad essere visibile, e quindi eclatante, perché fino a pochi anni fa semplicemente non veniva rilevato come tale e ancora prima, e fino agli anni ’80, in Italia semplicemente perché non era rilevante per la legge che lo legittimava in molte forme, come avviene ancora in molti paesi del mondo.
Contro quello che abbiamo definito patriarcato e che si è espresso per millenni in istituzioni lesive della libertà e dignità delle donne, contro una cultura di sopraffazione e cancellazione, molte donne hanno agito costringendo le democrazie a diventare democratiche e i diritti umani e diventare davvero umani.
Molte donne hanno agito contro le dittature, contro regimi illiberali, contro codici scritti e non scritti in violazione del diritto di esistere come donna, di accedere liberamente a cultura e risorse, di autodeterminare la propria storia riproduttiva e la propria sessualità.
Molte donne hanno lottato e lottano per la libertà di tutte e tutti.
A scuola non si insegna ancora questa lunga storia e si inducono ragazze e ragazzi a pensare che la violenza domestica, la violenza sessuale, la violenza economica, la violenza verbale con tutte le molestie e mortificazioni facciano parte dell’eccezionalità, siano episodiche, siano apparse solo negli ultimi anni e non siano quindi il correlato strutturale di una lunga storia che ha visto molte donne attivarsi per cambiare il mondo insieme alla propria vita.
C’è una profonda connessione tra la forma delle istituzioni che hanno precluso libertà e dignità alle donne e la guerra, le tante guerre che ancora vengono finanziate, anche nei paesi democratici, anche dalle istituzioni che si dichiarano a favore dei diritti umani.
La violenza maschile sulle donne è costituita da pratiche di lunga durata perché insite in un pensiero dominante che fa del dominio il fondamento sociale.
In ogni società quando la condizione delle donne peggiora si alza il tasso di violenza sociale, quella violenza diffusa e quotidiana che non si può affrontare solo con denunce e tribunali ma richiede la consapevolezza del valore delle relazioni sociali nonviolente nelle nostre vite.
Se è vero che i movimenti delle donne hanno compiuto l’unica rivoluzione pacifica e riuscita del Novecento possiamo guardare alle guerre mondiali, con i loro corollari di stragi e progetti di genocidi, con le loro leggi, tribunali, campi di concentramento e sterminio, asservimento di istituzioni culturali e collusione di religioni, come il tentativo di rilanciare forme statali fondate sul dominio maschile, l’asservimento delle donne, e la discriminazione fino all’annientamento di qualunque forma di diversità e opposizione al modello viriloide di un’umanità priva delle caratteristiche umane che possono essere solo molteplici.
Se guardiamo alla lunga storia delle guerre e a quelle che ancora continuano, se impariamo a vedere come nasce e cresce la cultura della violenza, noi troviamo sempre che la prima caratteristica è l’antifemminismo, la volontà di cancellare sottomettere mortificare la libera esistenza delle donne.
Per questo, mentre operiamo nel presente per la liberazione di tutte, non dimentichiamo la strada percorsa dalle donne che ci hanno aperto possibilità e dagli uomini che hanno scelto la strada della libertà insieme a noi.