Tra le parole usate da Mariastella Gelmini, alle prese con le beatitudini della maternità, mi colpisce per primo il riferimento alle donne normali, alle quali lei (anormale o privilegiata?) sente di poter dare immediatamente consigli dall’alto dello scranno sul quale pensa di sedere, probabilmente per diritto biologico, ultima evoluzione di quello divino per i nuovi parvenu del potere.
La neo-mamma, fiera della sua non appartenenza a quella normalità un po’ volgare nella quale le donne normali si crogiolano, assentandosi dal lavoro prima e dopo il parto, si mette in cattedra definendo il diritto un privilegio e il suo privilegio (perché di questo si tratta quando hai un lavoro che ti garantisce, oltre ad una certa quantità di vile denaro, tutti i supporti e sostegni possibili e nessun rischio di licenziamento) un sacrificio.
Poi in un passaggio riconosce che sono poche quelle che possono davvero permettersi di stare a casa, e infatti se il problema è quello di cancellare un diritto ci ha già pensato la nuova economia, con i lavori a progetto, il precariato, la mobilità, i licenziamenti e tutta la cancellazione dei diritti relativi al lavoro che colpiscono le donne più degli uomini.
Dalla sua posizione avrebbe avuto la possibilità di partire dalla propria condizione di madre, dalla sua bambina, per guardare alla condizione delle altre madri, le tante che non riescono a garantire i diritti minimi ai propri bambini e bambine eppure li crescono in questa terra poco generosa per farli diventare, di questa terra, risorse preziose per il futuro, alle tante che si arrabattano tra parenti e servizi inesistenti o costosi per mantenere uno straccio di lavoro, alle tante che hanno il privilegio di tenersi una qualche carriera con le unghie e coi denti sentendosi in colpa perché non possono né rispondere né corrispondere ai bisogni propri e dei figli, alle moltissime che devono rinunciare al lavoro che non copre la spesa di nido e baby sitters e sono costrette ad enfatizzare il ruolo di madre per trovarsi un’identità, che comunque non può durare oltre l’infanzia dei figli, alle tutte che qualunque sia la soluzione trovata fanno buon viso a cattiva sorte e prendendosi cura dei propri figli e figlie tengono in piedi l’esistenza di questa società.
E’ vero che la maternità è un momento di straordinaria energia, ma quella delle donne “normali” viene costantemente mortificata da un mercato del lavoro misogino e sessista, che al massimo accetta di sfruttarla purché sia a spese del tempo e delle cure che hai voglia di dedicare al tuo cucciolo.
Mariastella Gelmini poteva utilizzare questa straordinaria energia per aprire una vertenza sulla maternità, sulla necessità di riconoscerne il valore sociale nel costituire la “ricchezza della nazione”, attraverso il dibattito su una nuova e più aggiornata interpretazione dei diritti che garantisca servizi adeguati a bambini e bambine riconoscendo a madri e padri il diritto al sostegno da parte delle istituzioni come dimensione di tutta la collettività.
Il Ministro, che davvero farei fatica a definire al femminile per la distanza che avverto non solo dalle donne, ma perfino dal suo stesso essere donna, preferisce invece fare appello al sacrificio.
Il sacrificio di chi? Anche di bambini e bambine?
Come donna è una mia antagonista perché si fa paladina del modello gerarchico maschile ormai obsoleto e disgustoso anche per gli uomini, accettando come naturale una società nemica di bambine e bambini e quindi anche della sua, come madre voglio solo dirle che i figli e le figlie possono sempre chiederti conto e il loro giudizio è spesso il più duro da affrontare, e come Ministro della Repubblica le ricordo che, se non la sua bambina, chiederanno conto i figli e le figlie delle altre, le donne “normali” delle quali, stante la sua definizione, è un onore far parte.
Vuole ripristinare l’opera di Gentile, ma passerà alla storia per il più grande licenziamento che sia mai accaduto in Italia dalla nascita della Repubblica, un enorme licenziamento, per la maggior parte di donne, tra cui molte giovani madri e molte giovani che madri non avranno la possibilità di diventarlo. Grazie a lei Ministro.
da Liberazione 6 maggio 2010