Seguo anch’io una moda, quella dei bilanci di fine anno. Pensieri brevi senza argomentazione, così come mi girano in testa, come il criceto ossessivo gira la ruota (ma lui con una sua misteriosa e chiara ragione che non è la mia).
Sono tornate parole dell’antico regime: umiliante e beneficenza.
UMILIANTE è aggettivo del lavoro.
Occuparsi della pulizia intima di anziani e anziane, malate e malati, è un lavoro umiliante.
Svolgere lavori di pulizia di luoghi pubblici è un lavoro umiliante.
Raccogliere spazzatura e pulire strade è un lavoro umiliante.
Vendere la propria immagine per pornografia non è un lavoro umiliante.
Girare video erotici e venderli sui social non è un lavoro umiliante.
Girare video buffi di azioni quotidiane e raccogliere denaro sui social non è un lavoro umiliante.
C’è differenza tra libertà di esistere e libertà di vendere? Quando e come la libertà di vendere intacca, mortifica, riduce la libertà di esistere?
Manipolare la realtà, speculare in borsa, circuire le persone, aggirare le leggi, blandire i potenti sono talenti ammirati, così come fare carriera e farsi i fatti propri.
Il talento socialmente più riconosciuto è quello dei giocatori di calcio per i quali non è umiliante né l’evasione fiscale, né il condono governativo, mentre è degno e degna di umiliazione e di riprovazione sociale chi percepisce il reddito di cittadinanza e non accetta i lavori … umilianti, appunto.
Il talento dei giocatori di calcio è un potente e trasversale diversivo, un pilastro del patriarcato classista che non si può toccare. Piace alla maggioranza degli uomini e anche a molte donne perché sembra solo un gioco e sembra bonario, benevolo collettivo e gioioso, intoccabile proprio come il patriarcato di cui continuiamo a lucidare gli orpelli.
È umiliante dover dipendere dalla beneficenza per vivere, non è considerato umiliante fare beneficenza, anzi, si può perfino mettere nelle deduzioni di reddito.
Fare beneficenza è ridiventato lodevole, nessuno pensa che sia pelosa: impellicciata con eleganza o sobriamente atteggiata, lodata nelle circostanze pubbliche e debitamente celebrata, acquista valore nei circuiti delle piccole corti in cui si recitano le magnifiche sorti progressive che ci faranno viaggiare da Marte al metaverso.
Evadere il fisco è un’azione che protegge dall’umiliazione, è un dato incontrovertibile segnato sui territori con la solidità di case, veicoli, oggetti, utensili e la possibilità di evadere dalla stanzialità viaggiando per tutto il globo e perfino oltre.
Si può essere Umiliati e Umiliate, non è umiliante umiliare: nuovo gioco di parole.
L’arroganza è la postura dei vincenti, viene sollecitata nei bambini e nelle bambine: probabilmente è l’unico tratto davvero paritario nell’educazione.
I confini sono luoghi di contrattazione delle merci e di segregazione umana: si può negoziare il prezzo del petrolio ma non la difesa dei diritti umani.
Di migranti sappiamo tutto, ma continuiamo a votare i governi sbagliati, per la precisione governi che stabiliscono per legge la liceità del crimine e la persecuzione della giustizia. Amen.
Le leggi alzano barriere più invalicabili di quelle naturali e morire alle frontiere è diventato naturale.
Ci si augura di avere il lavoro, non ci si interroga sul lavoro.
“Liberare il lavoro, liberarsi dal lavoro” è una frase più incompresa dei geroglifici.
La locuzione ‘Giustizia Sociale’ è sparita.
In Italia i reati diminuiscono ma sono aumentati i suicidi in carcere che resta un luogo punitivo e non, come vorrebbero legge e buonsenso, rieducativo.
La parola educazione è caduta in disuso anche nell’ordinamento scolastico. Educare è un verbo di relazione, collaborazione, cooperazione. Un verbo d’incontro tra viventi, non una funzione del mercato.
Le morti sul lavoro sono ormai un’emergenza tra le tante di cui non ci si occupa perché si apprestano a diventare strutturali. I morti non possono più essere umiliati, scivolano nell’ipocrisia del compianto, brevissimo.
I femminicidi lo sono già, strutturali, come diciamo da tempo, insieme a vari reati contro le donne.
Il patriarcato sta giocando ovunque le sue ultime carte e la barbarie nelle relazioni tra i sessi è diffusa, percepibile e invisibile. I costi in vite umane femminili e infantili sono altissimi.
La globalizzazione è il nome del nostro fallimento: non siamo in grado di fermare le guerre, non siamo in grado di salvaguardare i più elementari diritti umani ovunque, non siamo in grado di fermare la produzione e vendita di armi, non siamo in grado di fermare l’aumento della produzione e vendita di armi. Sembra il fallimento della democrazia ma non possiamo tornare a monarchie assolute, oligarchie e dittature: dobbiamo fare un bel respiro e ricominciare, passso dopo passo, con tenacia, fiducia e abilità.
Comunque, lo scandalo è così grande che le prossime generazioni si impegneranno a cancellarlo. Ne sono certa anche se non potrò esserci.
A Radio3 stamattina un filosofo, che ho sempre apprezzato, parla dell’Uomo creatore dell’antropocene. Il conduttore gli offre la possibilità di declinare diversamente questo Uomo e lui risponde parlando del sapiens, sempre Uomo, sempre maschio, sempre Occidente.
Parla dell’Occidente come categoria storico-politica ovviamente e ovviamente non esistono le donne, l’originario femminile della specie e la cultura altra rimossa che continua a esistere e resistere.
Chissà se ha letto La morte della natura di Carolyn Merchant. Se l’ha letto e non lo cita è un ometto inqualificabile nonostante prestigio e titoli, se non l’ha letto la lacuna è grave per uno come lui.
Merchant nel 1980 scrive meglio e in modo più approfondito quello che lui dice ridotto più o meno alla media del senso comune colto patriarcale.
Presentata da Elisabetta Donini, grande scienziata italiana, nel 1988, la ricerca di Merchant scava nell’origine del capitalismo e della cultura predatoria riportando alla luce il pensiero della filosofa Anne Conwey, a sua volta “predata” dagli amici filosofi contemporanei. Amen.
La lotta delle ragazze iraniane non ha bisogno di aggettivi, le parole sono precise e potenti: Donna, vita, libertà: portano nella storia una trilogia concreta, senza eufemismi o incertezze. Senza contorsioni e asterischi, per la prima volta Donna vale per tutti.
Questo scritto non è un saggio e non è uno sfogo, scrivo perché è l’unica cosa che posso fare e mi vergogno della sua inutilità che esprime solo la mia impotenza, ma sono viva e cerco di fare il meglio che posso.
Continuo a guardare oltre l’orizzonte anche se non posso vedere niente, cerco di vivere la gratitudine per le piccole cose che non fanno la storia ma fanno la vita.
Propositi per il nuovo anno:
· Diffidare dei patriarchi colti, gentili, benevoli e … sempre benaltristi quando si parla di donne.
· Invitare le ancelle dei patriarchi a disertare, le casalinghe (pratiche e intellettuali) a scioperare, le dirigenti a decidere cosa vogliono dirimere e presidiare, le vocianti ad abbassare la voce, le silenti a parlare.
· Invitare tutte e tutti a disertare i social e costruire luoghi d’incontro, attività difficilissima e faticosa ma possibile e perfino gradevole.
· Sostenere i disertori di tutte le guerre, gli obiettori di tutti i sistemi militari.
· Continuare ad approfondire la connessione tra la struttura economica dell’abitare e le mappe mentali che accettano le più atroci contraddizioni tra case vuote e senzatetto, redditi alti garantiti e povertà assoluta, privatizzazione di risorse e opportunità con erosione di cittadinanza e democrazia ecc. ecc. Continuare anche se nessuno mi ascolta e non ho modo di operare concretamente perché come vecchia pensionata e un po’ acciaccata sono per definizione emarginata dai luoghi in cui si decide.
· Invitare le donne a riconoscere il potere di mutamento che possono agire a beneficio di tutte e tutti, a riconoscersi nella lunga storia rimossa come bussola per scegliere, per decidere rinunciando all’opportunismo a favore dell’opportunità di essere.
· Cercare ogni possibilità per mutare l’economia dello scambio simbolico fondata sul mercato, che lo legittima anche rendendone invisibili i meccanismi.
· Ridere e ridere, di ogni cosa a cominciare da me stessa. Non voglio prendermi troppo seriamente, sono solo di passaggio, arrivata non so perché per finire chissà dove. Posso commuovermi solo per il bene e la bellezza e sono grata quando accade. Posso trovare una risata ogni giorno, senza sarcasmo, con un pizzico d’ironia e tutto l’amore e la compassione per la nostra comune condizione di viventi, umane, umani e non solo. Con passione, onestà e tenerezza.