(testo sbobinato e non rivisto)
Io vorrei cominciare in questo modo, come insegnante e come adulta vorrei dichiarare che sono grata a questa generazione di ragazzi e ragazze, perché ci hanno fatto un dono insperato, il dono di un protagonismo e di una capacità, e ci stanno dicendo delle cose che qualcuna di noi ha detto e pensato per anni in solitudine, senza trovare il modo di farle diventare patrimonio comune; loro ci hanno regalato questa cosa straordinaria, che dice – con una semplicità che ci fa pensare che hanno attraversato la scuola e sono colti – che le gerarchie sociali fondate sul denaro sono ingiuste, punto. Che quando queste gerarchie si nascondono dietro le culture o la cultura sono fintamente ipocrite e sono peggio ancora.
Riprendo uno degli ultimi punti che ha affrontato Vittoria (Longoni), della tecnicizzazione: anche nella mia scuola è arrivata la richiesta di approntare tutto l’apparato per fare la certificazione di qualità, perché solo attraverso la certificazione di qualità puoi accedere ai progetti, al denaro per fare i progetti; io ho dichiarato che farò non soltanto opposizione, ma obiezione di coscienza, boicottaggio, sabotaggio, tutte le pratiche non violente contro questa cosa: una cosa che si presenta dicendo che nella scuola abbiamo i clienti e i fornitori – la cosa più divertente è quella dei fornitori .
Nel mio collegio docenti sono riuscita a far passare una piccola opposizione ed è una vittoria il fatto che la Preside, dalla proposta di fare la certificazione, sia passata alla proposta di un gruppo che istruisse la possibilità, che studiasse la questione; io comunque ho fatto boicottaggio anche nei confronti del voto a questo gruppo, e devo dire che il collegio docenti si è spaccato, in una provincia … io sono alla periferia dell’impero, la bassa bergamasca, che è un luogo interessante da cui guardare perché è un luogo appunto dal quale vedi esattamente come va il mondo, poi ti capita che girando il mondo le tue letture non vengono colte, e poi ci sono anche momenti della storia in cui ti rendi conto che avevi ragione, e allora tiri su il respiro, e non ti importa se non hai il tuo nome scritto da qualche parte, perché avere ragione è una cosa bellissima che ti rende proprio uguale agli, e con, gli altri, quello che sei anche senza nome, questa mi sembra una cosa bella di questo momento.
Dicevo, io intendo fare resistenza fino al boicottaggio e all’obiezione di coscienza, però credo che la questione della deriva della nostra scuola non è da questa riforma; in qualche modo questa riforma ha dentro alcune questioni che nella realtà non dispiacciono ai genitori e ai ragazzi: questo è il punto, che è il motivo per cui è stata perdente la scuola alla quale abbiamo messo l’etichetta di scuola della Repubblica democratica; tale non è stata, invece, la scuola che abbiamo avuto fin’ora; negli ultimi 20 anni direi che piano piano c’è stata una deriva, attraverso la quale sempre più la scuola ha perso il senso del suo esistere.
Chiediamoci: perché abbiamo un’istituzione scuola? Prima della fondazione della Repubblica democratica, era chiarissimo perché c’era la scuola: per la riproduzione delle classi dirigenti; e si è a lungo discusso se alfabetizzare le classi contadine e operaie, in Italia penso che ne sappiamo qualcosa, perché anche la Chiesa è stata a lungo contraria a questa alfabetizzazione. Con la Repubblica democratica, il fondamento della scuola diventa un altro, in uno Stato democratico diventa il fatto che la collettività degli adulti e delle adulte dice che il patrimonio critico e sociale di uno Stato e di un territorio è a disposizione di tutte le giovani generazioni, indipendentemente dalla loro nascita. Io credo che questo,nello Stato costituzionale, per i primi 15 anni non è stato ottemperato, perché fino alla riforma per la scuola media unificata comunque è proseguita la scuola fascista; tengo sempre presente una lezione di Rochat sul crollo del fascismo; giustamente lui dice: l’8 settembre del ’43 è crollato il fascismo, ma che cosa esattamente è crollato? In Italia la scuola resta uguale fino al ’63, lo stesso la pubblica amministrazione, burocrazia, non parliamo dei servizi segreti, lo Stato, le altre cose di cui abbiamo avuto notizia fino alla P2,; addirittura la Chiesa, è rimasta uguale fino al pontificato di Giovanni XXIII, quindi… come dire, dobbiamo aspettare gli anni ’60. Da lì comincia questo sogno democratico che secondo me intere generazioni – la mia – ha messo dentro nella scuola. Non a caso generazioni di donne, perché nell’apertura della scolarizzazione, in un primo momento si sono letti i dati senza guardare il genere, quindi si è detto: le classi subalterne [cambio lato cassetta]
Questa scuola è stato il sogno degli anni ’70 di molti di noi, studenti, per i quali l’accesso alla scuola era l’accesso all’uguaglianza; io ci ho creduto, ingenuamente ci ho creduto, che attraverso la scuola, studiando, io ero uguale; io credo che dobbiamo dircelo che non è così: cioè adesso a 50 anni nessuno mi può più raccontare questa cosa; e allora dicevo, e continuo a dire, che sono per difendere il liceo classico, io sono una che farebbe studiare il greco e il latino a tutti, ma se il liceo classico non sa parlare a tutti, vuol dire che è una scuola classista; questa cosa io la dicevo 20 anni fa, ma la ridirei oggi.
Questo è un punto su cui loro sono vincenti con questa riforma: perché non è vero che le nostre sono diventate scuole in cui davvero si cercava la promozione dei talenti di tutti; se noi guardiamo i risultati scolastici e la collocazione sociale delle persone, non è mutata. L’idea che il salto di classe lo facevi attraverso la scuola, che è stato il sogno delle madri e dei padri, della generazione che è uscita dopo la guerra: “facciamo studiare la bambina, così…” mia madre è morta pensando questo: “io ho lavorato tanto, ma tu peggio di me! Ti ho fatto studiare tanto, ma non è servito a nulla”, era la sua affermazione sulla quale litigavamo. Chiaro che oggi la sua morte mi permette di non litigare più e di vedere che, da donna che aveva fatto la quarta elementare, guardava la bieca realtà; e la bieca realtà è legata anche a quella collusione-connivenza che noi donne arrivate nella scuola abbiamo avuto con la scuola stessa.
Cioè le donne, lo dico in modo un po’ brutale, nella politica e nella scuola svolgono un ottimo casalingato; il casalingato è un’attitudine straordinaria a prendersi cura del piccolo collettivo di persone e del piccolo spazio attorno a sé, di renderlo vivibile, di farlo sopravvivere al meglio delle possibilità e delle risorse; è un’attitudine straordinaria, ma praticata a livello individuale, come noi la pratichiamo, ognuna per sé coltivando il suo pezzettino, produce quella cosa che diceva Vittoria prima: produce il fatto che noi teniamo in piedi un edificio che fa acqua da tutte le parti, ma noi lo teniamo comunque in piedi.
Io credo che siamo in questo snodo della storia, mi sono convinta, e se non lo siamo fa niente, mi sono convinta che sono in uno snodo della mia vita che devo dirlo senza mezzi termini, che vanno dette alcune cose in modo assolutamente netto.
Se io rifiuto la certificazione, dicono, alla nostra scuola non arriverà neanche una lira. Che problema c’è? Meno progetti facciamo e meglio è, perché gli unici soldi ai quali sono interessata sono quelli per abbellire la scuola, migliorarla, perché fa schifo; siamo in 70 insegnanti con un bagno, non abbiamo le aule, siamo divise in 3 sedi, non abbiamo una sala per il collegio docenti, non c’è un salone in tutto il paese dove io insegno, un paese di 20.000 abitanti, non c’è una sala pubblica dove noi possiamo riunire tutti i nostri studenti, che non sono tantissimi, sono 650. Siamo ancora in queste condizioni, non al sud ma nella bassa pianura bergamasca che è tra i territori più ricchi d’Italia; dove abito io a Romano di Lombardia a Treviglio, il benessere è a livelli altissimi, però queste cose mancano; allora, se non arrivano i soldi su questo…
Altra cosa, sugli stipendi degli insegnanti: a me non interessano, perché poi il gioco perverso è stato anche su di noi come insegnanti, che appartenendo come classe sociale – perché la mia generazione di insegnanti, io vado in giro per l’Italia e faccio ogni tanto dei calcoli, un po’ approssimativi – vengono dalla piccola borghesia, quella piccola borghesia che i figli maschi li ha fatti studiare perché avessero accesso alle libere professioni remunerative; questo ha determinato che abbiamo sempre un marito che guadagna un po’ di più, grazie al cielo, e il nostro diventa uno stipendio di supporto, perché non si vive e non si mette su famiglia con due stipendi da insegnante, e lo sa bene la generazione più giovane dei nostri colleghi, che mi fanno pena.
Mi fanno pena, perché nell’ultima tornata di concorsi, (erano tutti alla ricerca di poter fare questi concorsi, in modo da poter insegnare di tutto, in qualche modo trovare una cattedra; se vuoi insegnare di tutto, non insegni niente nella scuola superiore); i miei colleghi, avendo io una laurea in filosofia, mi dicevano “caspita tu fai soltanto quel corsettino lì, tu poi sei bravissima, filosofia ti piace, leggi sempre, e puoi insegnare anche filosofia, psicologia, sociologia” … io so insegnare dignitosamente, dopo 25 anni, italiano e storia, questo so insegnare, che non hanno niente a che vedere con quello che io so e con quello che io studio e con le mie passioni, perché insegnare è un’altra cosa; io ho raggiunto da pochi anni una capacità di selezione dei contenuti adeguati.
Questa è l’altra tragedia della scuola media superiore, per la quale forse i genitori non disdegnano [la riforma], [dato] che sono ormai alla ricerca soltanto di difendere e proteggere i ragazzini, perché c’è questa diffusa paura della scuola. Io da qualche anno ho il part-time, e l’altro mio lavoro è la consulenza sul disagio; la scuola produce disagio, produce infelicità; quando i figli si diplomano le famiglie tirano tutte un sospiro di sollievo, dai genitori pluri-laureati a quelli che hanno la scuola elementare. Sarà una cosa patologica questa, ma molto patologica.
Questo disagio che produce la scuola è anche perché c’è un ingolfamento, di discipline, di informazioni; io sono per il rallentamento dei ritmi di apprendimento, e anche una dieta sobria di discipline, di competenze, di informazioni. Ho fatto un conteggio di tutte le pagine dei libri che loro hanno; ho preso tutti i libri e ho sommato le pagine; non ci stanno dentro neanche a leggerle, se queste ragazze e ragazzi pensano minimamente anche di uscire qualche volta, andare al cinema, leggere un libro extra, e magari innamorarsi, che è una delle cose più sane da fare fra i 14 e i 20 anni; ogni tanto penso che noi adulti li carichiamo così per invidia. E loro operano facendo resistenza, nei modi che sanno; nel fare resistenza si rifanno alle storie di genere: i maschi fanno resistenza rifacendosi alla storia di genere maschile, le ragazze fanno resistenza rifacendosi purtroppo alla storia di genere femminile: adattarsi, adattarsi, adattarsi.
Io insegno da 3 anni in un liceo psicopedagogico, il magistrale, disprezzato: nella mia scuola c’è uno scientifico, un linguistico e lo psicopedagogico, del quale tutti hanno schifo ovviamente perché lì ci sono le ragazze, ecco io l’ho scelto per questo, perché le mie ragazze sono commoventi, loro ci credono ancora, sono le uniche che ci credono davvero che studiare serve, e loro studiano, io le trovo commoventi, sono grata per questo.
Anche sul rapporto scuola-lavoro… questa scuola in cui tutto passa da questa linea in su, e il corpo sta soltanto a mezzobusto; io credo che non sia così sana; non sto a dire cosa non mi piace della riforma Moratti, ma a cosa risponde: risponde in realtà a questa preoccupazione spaventosa dei genitori, perché questa scuola è opprimente; gli offrono la soluzione più facile e più stupida e più pericolosa ad un problema che è reale.
Noi questo lo dimentichiamo, questo è il punto; perché la Lombardia è diventata così? La Lombardia è stata la culla della classe operaia, in Italia; allargo le cose, ma dentro la scuola c’è anche questo; quando dicono “alternanza scuola lavoro”, rispondono anche a questo bisogno dei ragazzi e delle ragazze che non ce la fanno a stare lì. [esperienza personale che racconto anche se ho giurato di non diffonderla]
Questi ragazzi e ragazzi ci stanno dicendo qualcosa sulla scuola, che noi dobbiamo prendere e dobbiamo anche agire; non credo che sia più possibile agire attraverso il sindacato, perché il sindacato-scuola in tutte le sue versioni… ma soprattutto perché è maschile e questo è un lavoro di donne, e un lavoro di donne significa che noi lo possiamo anche ripensare a partire proprio da una cultura altra.
La scuola ha questo fondamento di rigidità nel rapporto tempo-spazio-soggetto; io credo che noi abbiamo un’altra esperienza del tempo, dello spazio, dei soggetti; dire che questo è un modello temporale, non è l’esperienza del tempo, significa anche ad esempio far valere che nella scuola esistono età diverse, e questa diversità deve avere qualche significato; non soltanto per tagliare via a fette le classi per ordine di età, non può essere l’unico significato dell’età, perché c’è anche l’età degli adulti. Una delle cose assurde della scuola è che noi siamo considerate le stesse, nella scuola da quando entriamo, a quando ne usciamo; quindi le esperienze valgono la stessa cosa, questo vuol dire non prendere in considerazione una risorsa straordinaria; si affida la formazione degli insegnanti all’Università, a me viene la pelle d’oca.
Credo che si potrebbe pensare a un progetto diverso, ma va pensato anche dentro a un progetto politico; io credo che in questo momento noi non abbiamo rappresentanza politica, queste istanze non hanno rappresentanza politica, altrimenti questa deriva non sarebbe cominciata con il concorso di tutto l’arco parlamentare, destra e sinistra, a partire dall’introduzione dell’ora di religione.
Per cui io credo che abbiamo un problema politico serissimo, a partire da quello riaffrontiamo e rimettiamo al centro la scuola, perché se loro pensano alle imprese, io credo che l’idea che hanno i nostri ragazzi che un nuovo mondo è possibile, comincia da lì.
Relazione al Convegno organizzato dall’Unione Femminile Nazionale