Come si annuncia una nascita a lungo desiderata? La gioia e l’orgoglio sono prima di tutto nel nome: Associazione Nazionale degli Archivi dell’Udi.
L’Unione Donne Italiane, la prima associazione femminile della Repubblica, di cui anzi la Repubblica è un po’ figlia se le donne che hanno trasformato la propria militanza dai Gruppi di difesa, nati nella Resistenza, in un’associazione femminile autonoma, sono le stesse che hanno fortemente voluto uno Stato repubblicano in cui muovere i primi passi da cittadine, con la certezza del diritto di voto finalmente acquisito.
L’Udi, come la chiamiamo, con un acronimo ormai diventato da moltissimi anni un nome, è stata la prima associazione femminile autonoma della Repubblica, anche se legata alla storia del Movimento operaio, e tra le poche ancora oggi diffuse, seppur inegualmente, su tutto il territorio nazionale.
Diffusione che, pur nelle difficoltà politiche dell’oggi, che in parte condivide con tutto il movimento delle donne e in parte le sono proprie, consente all’Udi di rappresentare un insieme di luoghi eterogenei nel progetto politico locale, ma molto omogenei nella volontà di resistenza di una presenza politica femminile non omologata ai modelli delle mode periodicamente vincenti.
Perché un’associazione ancora viva, sceglie di delegare la gestione del proprio patrimonio archivistico?
Se resta infatti, nello Statuto della neonata Associazione degli Archivi, un legame nella necessità, per le socie, della condivisione di quella Carta degli intenti che dal 1983 rappresenta il patto fondativo dell’Udi stessa, per il resto la separazione dei compiti è puntualmente definita.
L’Associazione si pone quindi come esito della necessità, da tempo avvertita, di assumere più compiutamente e visibilmente la responsabilità di un patrimonio archivistico che rappresenta un’eredità preziosa per la possibilità della ricostruzione di una parte significativa della storia delle donne italiane e in particolare della storia politica.
La complessità di questo patrimonio archivistico, per la pluralità di intrecci tra nazionale e locale, politica delle donne e istituzioni, tra pubblico e privato, tra “cronologie” interne e “temporalità” esterne, tra biografia individuale e storia collettiva, tra rappresentanza, rappresentazione e autorappresentazione, e l’elenco potrebbe continuare a lungo, richiede di fatto una riflessione sulla questione dell’eredità tra donne non come trasmissione lineare, codificata nella cultura vigente, ma come complesso passaggio di competenze ed esperienze che vivono nelle carte una “materialità simbolica” che non può essere lasciata al silenzio.
Il patrimonio archivistico dell’Udi appartiene in senso lato alla domanda di storia che sanno e sapranno proporre le donne italiane, proprio perché la consistenza delle “carte” consente la ricostruzione di periodi, luoghi, biografie, storie, pratiche politiche, che rischiano altrimenti di essere abbandonate alla cancellazione o, peggio, alla distorsione degli stereotipi.
I tempi non consentono a me, e mi verrebbe da dire a nessuna di noi (semplificando in questo “noi”, come si faceva un tempo, vissuti e intenti a lungo condivisi) di sottovalutare nessun frammento del passato che abbiamo dietro le spalle e l’Udi è certamente ben più di un frammento della storia politica delle donne italiane.
La nascita di questa associazione mi consente di dire, prima di tutto a me stessa, di un profondo bisogno di rilettura critica, ma insieme di ampio respiro, del nostro recente passato, superando gli steccati delle appartenenza che, pur legittime nel presente (in ogni presente) sono di ostacolo alla comprensione dei processi e non ci consentono ancora di transitare dalle memorie personali e di gruppo ad una storia come complessità di presenze, punti di vista, azioni, immaginazioni.
Delle due grandi domande implicite nell’interrogativo esistenziale “chi sono?” sappiamo che la più inquietante “dove vado?” può trovare una collocazione più praticabile se possiamo rispondere almeno in parte alla precedente “da dove vengo?”
Risposta a lungo difficile per le donne, oppresse dalla sensazione di appartenere ad una pagina bianca della storia su cui per prime azzardavano la responsabilità di una qualche scrittura.
Rispetto al passato ognuna di noi ha sperimentato il senso confuso di appartenere ad una storia deprivata di nomi, volti, concretezze, persa nell’indistinto di un genere che si diceva riprodursi per ciclicità naturale.
Il lavoro sugli archivi dice della passione per la concretezza di una storia in cui scritture, immagini, nomi, volti portano il segno di tutte le differenze individuali vissute e sperimentate.
Un tassello importante per approssimare qualche risposta a quell’interrogativo sull’origine che fa parte del percorso di crescita di ognuna.
Nel complesso crescere di una cittadinanza, alla cui definizione stiamo ancora lavorando, il deposito di un archivio testimonia la misura dei passi compiuti, del difficile ma tenace andirivieni delle donne tra territori definiti da altri, valicando un confine, quello cosiddetto tra pubblico e privato, tanto più solido quanto più artificioso, con l’accortezza di non smarrire, nel trasloco, bagagli importanti per la propria sopravvivenza.
Un tassello importante, questo degli archivi dell’Udi, per ricostruire quella storia politica che del passato delle donne appare ancora l’aspetto più sconosciuto e censurato.
Per questo la mia e nostra gratitudine va in questo momento prima di tutte a Maria Michetti, Luciana Viviani e Marisa Ombra che hanno portato avanti per anni l’impresa coraggiosa e paziente di riordino dell’Archivio Centrale dell’Udi valorizzandolo attraverso il riconoscimento pubblico e rendendolo interamente consultabile.
Una scelta che ha fatto “scuola” se nell’Udi tanti sono gli archivi (ben 40 per ora) ricostruiti ad apera di singole donne o di gruppi che hanno saputo operare con la stessa competente tenacia.
Scelte visibili anche nel Consiglio direttivo che, se rappresenta simbolicamente la storia, l’impegno e la dimensione territoriale “nazionale” della madre Udi da cui nasce, rende anche visibile, nella “corporeità” delle donne che lo compongono, l’incontro tra quattro generazioni politiche di donne che nell’Udi stessa si sono conosciute e spesso scontrate come è giusto che avvenga nell’inesorabile e inquietante passaggio delle età e delle storie.
Non accade infatti spesso che nei luoghi politici delle donne si possano incontrare quattro generazioni nella definizione/condivisione di un patto che, fuori da ogni astratta dichiarazione d’intenti, assume la pratica di un impegno comune.
Con la Presidente, Marisa Ombra, è presente la generazione che mi sentirei di definire, e proprio pensando a lei, delle “ragazze della Resistenza”, perché tali mi sembrano talvolta, ancora oggi, queste autorevoli signore, per l’ancora attiva, puntuale ed energica presenza; quella delle donne che hanno cominciato praticando il difficile terreno politico degli anni ’50 e ’60, una generazione poco “eroica” forse, che si caratterizza nell’Udi per la tenacia lungimirante con cui hanno saputo trovare gli spazi, talvolta ridotti a fessure, per praticare quelle ardue mediazioni che hanno conquistato buone leggi e diffuso su tutto il territorio quei servizi del welfare che hanno rappresentato la concreta possibilità dell’emancipazione; con questa generazione precedente si è scontrata e incontrata la mia, quella del femminismo, protagonista di un cambiamento individuale trascinante e irreversibile, fondato sulla legittimazione del desiderio e di un naturale esprimersi dell’autodeterminazione, venata allora dall’allegria degli slogans: “siamo ragionevoli, vogliamo la luna”.
Oggi, a distanza, chi di noi ha avuto la ventura di incrociare l’Udi e di viverla come luogo di stabile, ma non pacificata, appartenenza, sa bene quanto dobbiamo in termini di diritti acquisiti, luoghi e possibilità, alle ragazze della Resistenza ma anche a quella generazione successiva tanto contestata, che nell’Udi ha saputo stare accanto, con il proprio agire politico, ai due diversi protagonismi che, ancora oggi, fanno delle donne della Resistenza e di quelle del Femminismo le uniche storicamente visibili.
In questo Consiglio c’è anche l’ultima generazione ed è proprio a queste ragazze che pensiamo quando parliamo di preziosa eredità, quella degli archivi, ma non solo, quella che negli archivi ha lasciato le tracce di una storia che vogliamo sia raccolta e narrata.
Così, con quest’associazione, l’Udi stessa si “separa” in un certo senso dalla sua storia, esce dalla con-fusione, un po’ protettiva, con il proprio passato, rendendo esplicito un riconoscimento di valore che assume nella gestione del patrimonio archivistico, restituendo al presente la responsabilità politica: gli archivi sono nostri perché parte delle nostre radici e come tali alimento del nostro esistere, però non siamo solo ciò che siamo state, ma proprio grazie a quello che dagli archivi è testimoniato, oggi siamo ciò che vogliamo essere.
Per il lavoro che ci aspetta, per la fatica dell’impresa, per l’entusiasmo non incosciente di questo bell’inizio, auguro a tutte noi buon lavoro!
Rosangela Pesenti
Sabato 19 maggio 2001 a Roma, presso la Sede Nazionale dell’Udi e dell’Archivio Centrale, ventiquattro socie fondatrici hanno costituito
l’ASSOCIAZIONE NAZIONALE DEGLI ARCHIVI DELL’UDI
ISTITUTO CULTURALE DI STUDI E RICERCA
Le socie fondatrici sono:
Maria Baccassino di Torino
Renata Bergonzoni di Modena
Milena Angela Carone di Lecce
Rosanna Galli delegata dell’Udi Rete di Modena
Micaela Gavioli delegata dell’Udi di Ferrara
Roberta Lertola delegata dell’Udi di La Spezia
Dora Liccardo delegata dell’Archivio Udi di Napoli
Caterina Liotti delegata del Centro di Documentazione Donna di Modena
Emilia Lotti di Roma
Antonia Maggioni delegata dell’Udi Milano e Provincia
Anna Meoni delegata dell’Associazione Archivio Udi Provinciale Siena
Maria Antonietta Michetti di Roma
Maria Luisa Ombra di Roma
Teresa Paladin delegata del Gruppo Udi di Savona
Rosangela Pesenti di Cortenuova (BG)
Antonietta Pompilio delegata dell’Udi di Pesaro
Massimilla Rinaldi delegata dell’Associazione “Gruppo Archivio Udi di Reggio Emilia”
Sofia Rocco di Portici (Napoli)
Graziella Simoncelli di Pesaro
Ansalda Siroli di Ferrara
Giovanna Tabanelli rappresentante dell’Udi di Imola
Liliana Valenti di Napoli
Luciana Viviani di Roma
Maria Zanini delegata del Centro Donna di Grosseto
Fanno parte del Consiglio Direttivo:
Marisa Ombra di Roma, Presidente;
Rosangela Pesenti di Cortenuova (BG), Vicepresidente;
Emilia Lotti di Roma, Tesoriera;
Marilla (Maria) Baccassino di Torino;
Milena Carone di Lecce;
Rosanna Galli di Modena;
Micaela Gavioli di Ferrara;
Antonietta Pompilio di Pesaro;
Liliana Valenti di Napoli.
La quota associativa annuale è di L. 50.000 per le donne singole e di L. 100.000 per le associate collettive (delegate di associazioni o gruppi).