Non sosteniamo il patriarcato!

I diritti diventano fragili se non sono davvero per tutte, se definiscono la cittadinanza per esclusione, se non ne viene insegnata la storia, se non costruiscono dialogo politico, e infatti sono stati piano piano disattesi e poi velocemente aggrediti, con arroganza nelle strutture sanitarie, nei posti di lavoro, a scuola, nell’immaginario di quell’interazione quotidiana in cui si costruisce l’idea di mondo comune.

In fondo sapevamo, quando, all’inizio, la parola d’ordine era per tutte “Liberazione”, che non di un fatto o solo di qualche legge si trattava, ma di un processo che avrebbe potuto coinvolgere tutte e tutti. Leggi tutto “Non sosteniamo il patriarcato!”

Bilanci

Si fanno di solito quando qualcosa si conclude: la parola, con la sua allusione economica a entrate e uscite, e l’origine etimologica derivata dallo strumento per misurare il peso di un corpo, invita alla ricerca dell’equilibrio.
La parola bilancia è una variazione del tardo latino bi-lanx, termine composto che indica due piatti, oggetto diventato simbolo di giustizia proprio perché ciò che l’offesa, l’abuso, la prepotenza, l’iniquità, la prevaricazione, il delitto, tolgono alle persone e alla collettività, va risarcito. Leggi tutto “Bilanci”

Violenza: mi sono persa qualcosa?

Non leggo i giornali tutti i giorni e per fortuna, come milioni di donne italiane, sono lontana dal dibattito giornalistico che crea e coltiva i suoi personaggi anche quando hanno ben poco di significativo da dire, ma oggi non posso tacere.
All’inizio degli anni ’90 alcune femministe-doc, quelle ascoltate nelle sale, interpellate dai giornali e perfino riconosciute dall’accademia, decretarono che il patriarcato era morto, dovevamo smetterla di raccontare le nostre tribolazioni e sventolare invece i tanti successi che potevano costellare le nostre vite, bastava lo volessimo. Leggi tutto “Violenza: mi sono persa qualcosa?”

Dopo Siena: INCLUSIONE

Inclusione. Di tutte le parole dette nella due giorni di Siena, (bellissimo appassionante appuntamento, generosamente organizzato) questa è certamente la più condivisibile eppure la più ambigua, per come è stata affermata e ripresa, dopo che qualcuna, poche oltre a Lidia Menapace, ha nominato alcuni contenuti come l’antifascismo, il patriarcato, il capitalismo, sui quali è quanto meno necessario aprire il dibattito. Leggi tutto “Dopo Siena: INCLUSIONE”

Verso Siena: l’imprevisto della storia siamo noi

Che cosa ci muove, più di mille donne, su una chiamata che non ha ancora un programma e delle mete precise?
Certamente la fiducia, che accordiamo a donne che hanno scelto di usare la propria visibilità, la posizione di piccolo o grande potere già raggiunta, a favore di tutte.
Certamente la speranza, di riuscire ad andare oltre le parole e trovare le azioni per mettere sul tappeto della politica un cambiamento radicale, con un passo per volta, ma radicale. Leggi tutto “Verso Siena: l’imprevisto della storia siamo noi”

“Siamo la forza del mondo”

Intervista di Tiziana Bartolini a Rosangela Pesenti, NOI DONNE 2011 

Tra Punto G e Se Non Ora Quando, una stagione di protagonismo delle donne.

“Stiamo vivendo una crisi di sistema in cui deflagra l’incompatibilità tra l’economia capitalista e l’ambiente, in rotta di collisione con l’economia della riproduzione”. Rosangela Pesenti, mente raffinata del femminismo italiano, affida a ‘noidonne’ alcune riflessioni avendo vissuto personalmente sia Punto G di Genova sia il nuovo movimento – Se Non Ora Quando – che ha preso il via dalle piazze del 13 febbraio e si è poi confermato con l’appuntamento a Siena di luglio. Leggi tutto ““Siamo la forza del mondo””

Genova, il giorno dopo, dieci anni dopo

Trascrivo dal mio diario del 2001:

Il giorno dopo. Una stanchezza cupa che intride le ossa e i pensieri, al telefono i concitati resoconti di chi era da un’altra parte e ha vissuto lo stesso panico, i compunti e ipocriti commenti televisivi, un residuo di bruciore agli occhi e difficoltà di respiro, traccia e sogno di una giornata frammentata in attimi lunghissimi ed ore brevi, avvertiamo l’inesorabile sfasatura dell’alfabeto con cui si misurano le parole come se il respiro non riconoscesse il passo consueto. Leggi tutto “Genova, il giorno dopo, dieci anni dopo”

Avvelenamenti sociali

I muscoli del padrone

L’informazione è diventata il nostro blob quotidiano, in cui soffoca  il pensiero, e le notizie che si susseguono senza nessi visibili sembrano scivolare sulla patina dell’indifferenza senza lasciare traccia.

Parto dal TG3 Lombardia che fornisce, insieme alla notizia,, una brevissima coda di commento che vi s’incorpora, passando inosservato. Leggi tutto “Avvelenamenti sociali”

Tolleranza

Mi è capitato stamattina di rubare involontariamente il parcheggio. L’auto era ferma con la freccia per uscire, così ho interpretato, in modo evidentemente errato, e la giovane donna mi ha rimproverata con voce dura, mantenuta anche dopo le mie scuse come se fossi un’incorreggibile ragazzina, anzi di più, una volgare approfittatrice. Le mie scuse e l’evidente imbarazzo non hanno scalfito la coscienza adamantina del suo diritto. doveva farmi vergognare di me stessa e io mi sono vergognata e scusata. Mi sarei vergognata ancora di più di spiegarle che comunque ero già stata lì due volte il giorno precedente e me n’ero andata via, perché non avevo trovato  parcheggio e non sono in grado di camminare per lunghi tratti per un problema alle gambe. Leggi tutto “Tolleranza”

Cura

CURA
di Rosangela Pesenti
(in Ritanna Armeni (a cura di), 2011, Parola di donna, Ponte alle Grazie)

Sostantivo femminile di origine latina (secondo il dizionario di Tullio De Mauro emerge nella lingua italiana nel XIII secolo) dai molteplici contigui significati: sfumature del pensiero, e del fare, che trovano posto in parole diverse, così come l’intera gamma dei colori, che s’allarga nelle più varie tonalità, è contenuta nel bianco che ne è sintesi e matrice. La cura è il bianco.
Premura, sollecitudine, impegno, diligenza, attività, compito, pensiero, preoccupazione, riguardo, assistenza, custodia: sono molte le approssimazioni sinonimiche di questo bisillabo, che trova anche un’applicazione più individuata in materia giuridica ed ecclesiastica ed ha una sua naturale estensione nel verbo curare, che ne declina l’intrinseca attivistica ragione: in termini moderni potremmo persino definirla mission, che è sempre ovviamente anche una vision: più che un modo di guardare il mondo, la cura è un modo di abitarlo.
Da noi in campagna si chiamava ‘cura’ l’attività di lavaggio annuale della biancheria da letto per riportarla al candore originario e, come il colore bianco, la cura è talvolta invisibile agli sguardi superficiali, ridotta da alcuni a non-colore, semplice base su cui esercitare ben altre competenze, la pagina su cui si scrive, la tela su cui si dipinge, la luce del mondo invisibile come l’aria che respiriamo.
Forse per questo, a mio avviso un po’ sbrigativamente, dagli anni ’70 è invalso l’uso di definire ‘lavoro di cura’ tutta quella miriade di attività sommerse, erogate prevalentemente dalle donne nella vita quotidiana, che non conoscono valorizzazione economica, oltre che scarsa e mortificante retribuzione monetaria, come se il termine potesse avere una perenne oscillazione tra generica utilità e specificità impossibili da catalogare non solo per la varietà, ma per l’intrinseca flessibilità.
Così è spesso la vita delle donne: mai interamente definibile nei suoi tempi e forme di lavoro anche quando ne svolgono uno preciso, con accesso al mercato, pari agli uomini.
Per Lidia Menapace, che fin dall’inizio del dibattito femminista ha nominato questo lavoro più precisamente come economia della riproduzione,[1] qualificata dai tre aggettivi: biologica, domestica e sociale che ne definiscono gli ambiti, la cura è il modo che ne caratterizza l’erogazione.
La cura è un modo, cioè una forma dell’essere, una sinergia di pensieri, gesti, atteggiamenti, posture, mimica del viso e degli arti, competenza prossemica, uso del linguaggio verbale, modulazione della voce, estetica del corpo e tutto ciò che realizza compiutamente una prestazione lavorativa nell’economia della riproduzione.
Economia che non riguarda lavori socialmente utili, ma variamente indispensabili, a cominciare da quello della riproduzione biologica, origine della stessa esistenza umana e fondativo della società, passando per quella domestica, inscindibile dall’abitare umano, fino a quella sociale: scuola, sanità e pubblica amministrazione, da cui deriva la forma stessa dello Stato.
La cura è il modo di svolgere un lavoro che non può dare profitto, infatti i figli non sono una proprietà, la scuola non sforna prodotti e l’ospedale non può essere il terminale delle case farmaceutiche.
Per questo però è così difficile riconoscere le forme organizzative e il valore di questo lavoro, fondato sulla cura, in un’economia appiattita sul modello aziendale e l’asservimento al mercato. 
I lavori della riproduzione non si possono fare con incuria, noncuranza, trascuratezza, disinteresse, distrazione, indifferenza, negligenza. Senza cura questo lavoro non esiste perché non se ne configura l’esito, così come il pezzo sbagliato uscito dalla catena di montaggio non può essere definito prodotto e infatti si chiama scarto.
Come nella produzione delle merci la divisione del lavoro ha un suo limite quantitativo in una mansione non ulteriormente frazionabile, che deve essere ripetuta con precisione,[2] così nel lavoro della riproduzione esiste un elemento non qualitativamente riducibile, anche nel suo segmento più semplice, ed è la cura.
In medicina la parola cura viene sempre più sostituita da terapia, termine più articolato dell’antico rimedio, ma la cura resta l’unico modo di esercitare le professioni di questo settore in modo efficace per i/le pazienti, che si tratti  dell’operazione svolta dal grande primario/a o dell’iniezione di un infermiera/e. Gli altri modi non sono previsti dal codice deontologico professionale.
Trascurare la cura nell’organizzazione dei lavori della riproduzione costringendoli nelle procedure e protocolli sperimentati (e non sempre con successo) per i lavori produttivi, significa mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa, minando alla radice le forme delle relazioni sociali.
L’impegno non è la conformità esecutiva, la diligenza non è la precisione, la premura è più dell’attenzione, la custodia non è il possesso, il gesto della cura non si ripete mai uguale perché si adatta alle circostanze, alle persone, agli eventi.
La cura non è solo una modalità trasmissibile, ma è il modo stesso della trasmissione, infatti diversamente dall’apprendimento semplice di una mansione o di un gesto del lavoro produttivo non prevede la ripetizione meccanica, al contrario richiede sempre che il soggetto agisca una indispensabile quota di libertà insieme alla parte di necessità, la libertà che attiva nel soggetto fruitore la capacità di modificare il gesto appreso dentro le circostanze che infinitamente diversificano il cammino umano su questa terra.
Di questa parte nascosta del cammino umano le donne ancora possono essere maestre per tutti. 

[1] Cfr: Lidia Menapace, Economia politica della differenza sessuale, Edizioni Felina Libri, Roma 1987; Scienza della vita quotidiana in Reti 1990, Crisi ed economia della riproduzione in “Su la Testa”, supplemento di Liberazione, n.1/2010
[2] Cfr: Adam Smith, La ricchezza delle nazioni