Pace: partire da sé per camminare in tutto il mondo

ALLE DONNE CHE VIVONO NEL TERRITORIO DI BERGAMO

Alle donne delle istituzioni e delle associazioni, alle donne di partito e senza partito, di fede e senza fedi, alle donne che hanno il cuore multicolore e i piedi per terra, alle donne che hanno pensieri e storie diverse.
Alle donne tutte che si riconoscono nelle parole di pace e sanno praticare la pace.

Il territorio di Bergamo è diventato drammaticamente famoso nei due anni di pandemia e noi donne sappiamo come abbiamo fatto fronte all’emergenza perché di colpo tutti i lavori della CURA sono diventati centrali, indispensabili come sempre ma di colpo visibili per la sopravvivenza.
Bergamo è la provincia del volontariato, che sappiamo a maggioranza femminile e le pratiche di accoglienza dei profughi sono già al lavoro.
Dalle donne di Bergamo può partire una voce credibile per tutte, potente come la forza delle nostre vite.
Non escludiamo gli uomini ma non possiamo affidarci a loro: il disastro delle loro politiche è palese.
Non abbiamo fedeltà da difendere, di nessun tipo, solo proposte da fare, una pace da affermare.

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Intervento al Congresso ANPI Bergamo

Sabato 19 febbraio 2022 ho partecipato al Congresso provinciale dell’ANPI di Bergamo come delegata della sezione di Romano di Lombardia.
Rendo pubblico l’intervento integrale che avevo scritto e che ho, giustamente, ridotto per stare nei minuti prescritti.
In questo momento non mi sembra passata una settimana ma un secolo.
Avverto l’inutilità e insieme la necessità non solo delle parole ma soprattutto di lottare contro il senso d’impotenza mantenendo aperti e curando tutti gli spazi democratici.
Nel Congresso mi sono sentita in sintonia con la relazione letta dal presidente Mauro Magistrati, che è stato confermato nel suo ruolo, e con le conclusioni del Presidente nazionale.
Il mio intervento, pur tagliato, è stato accolto positivamente e sono stati votati all’unanimità gli emendamenti che ho presentato (allegati in fondo).
Il presente ci chiede di allenare la creatività politica, la stessa degli uomini e delle donne di cui conserviamo memoria, per trovare le azioni impreviste ed efficaci capaci di generare la pace.
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25 novembre 2021: Connessioni

Quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituisce la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, possiamo considerata conclusa una lunghissima fase di lotte del movimento delle donne in tutto il mondo.
Noi che siamo state dentro le lotte, le abbiamo promosse e accompagnate, abbiamo agito in modo diffuso e invisibile chiedendo visibilità, misuriamo talvolta la pochezza dei risultati dal numero costante delle donne uccise, dalla violenza sommersa che ferisce troppe vite, dalla lentezza della giustizia, dall’arretratezza dei tribunali, dall’incompetenza dei servizi, dalla malafede dell’informazione, dalla superficialità di chi guarda senza vedere.
È giusto, perché noi sappiamo cosa c’è dietro la notizia di femminicidio e cosa c’è dopo, per chi resta, noi sappiamo quanto è lungo e faticoso il cammino per sottrarsi alla violenza, sappiamo quali e quanti stereotipi ci troviamo a smontare perché passi un’informazione seria, sappiamo quanto siano ancora poco ascoltate le competenze che vengono da una riflessione condivisa, da esperienze di ascolto che mutano il nostro sguardo ogni volta.
Eppure in questa giornata dovremmo ricordare anche ciò che abbiamo saputo conquistare senza dichiarare guerra, senza prendere le armi, senza invadere territori, senza lasciarci sopraffare dall’odio o dall’impotenza.
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Per fermare Apollo dobbiamo vedere Dafne. A proposito della Mostra dell’UDI

Vorrei dare due spunti, che sono l’esito di quello che è stato a lungo il mio lavoro annuale a scuola, spunti che non enunciavo come assiomi ovviamente, ma facevo ricavare ai ragazzi e alle ragazze con il lavoro sulle fonti. Ho sempre insegnato in classi miste e solo negli ultimi anni a classi prevalentemente femminili.
Ecco i due spunti: uno di storia e uno di letteratura.
La prima questione riguarda la storia e le strutture profonde sedimentate nell’immaginario, che diamo per scontate nell’insegnamento.
Raccontiamo la storia come se le donne fossero state irrilevanti, figurine che appaiono qua e là, se e quando la loro eccezionalità non mette in discussione l’impianto narrativo.
Se invece proviamo a guardare le cronologie politiche nella lunga durata, dal codice di Hammurabi fino alle costituzioni contemporanee, possiamo rilevare un dato evidente:
tutte le formazioni politiche di governo del territorio che conosciamo, o che comunque studiamo nella storia che viene insegnata in tutti gli ordini scolastici, comprese le forme degli Stati moderni, si sono strutturate sull’esclusione delle donne dal governo delle risorse e sulla considerazione delle donne come corpi a disposizione:
·      per il soddisfacimento sessuale dei maschi
·      per la cura e manutenzione dell’esistenza di luoghi e persone
·      per il possesso della riproduzione umana, figli e figlie e quindi anche di tutti i dispositivi e le istituzioni di riproduzione culturale dell’umano, al fine di favorire la conservazione delle differenze sociali, gerarchiche e reddituali.
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2021-2011-2001 GENOVA G8 DONNE


Un altro mondo è possibile e ricomincia ogni giorno dalle nostre vite. Non è importante una voce ma migliaia di voci e un ascolto diffuso, la tenacia di un passaparola che può sorprendere, che non può essere fermato.
Un clic può sfuggire al nostro controllo e infilarci nel mercato social-influencer ma, lo stesso clic, può farci scegliere la voce da ascoltare, il libro da leggere, la testimonianza da capire, l’insegnamento di cui abbiamo bisogno, la traccia quasi invisibile da seguire, la marginalità rilevante, il pertugio da cui passare, il cuneo che farà traballare ciò che sembrava incrollabile.
Le gabbie hanno chiavi che possono aprirle, i pensieri possono essere ripensati, i convincimenti cambiati, le ferite ricucite, il dolore ascoltato, il danno riparato.
Chi vince raramente muta convinzioni e ci sono danni irreparabili, ferite mortali, dolori che annientano.
In questi vent’anni abbiamo assistito impotenti alle morti in mare di donne e uomini, bambini e bambine, all’ingresso di minori con i piedi piagati che entrano dal confine orientale e si perdono nel colabrodo europeo. Donne e uomini che hanno incontrato la morte per lavoro o per aver buttato la vita sull’iniqua bilancia della speranza non ritornano a vivere.
Le vittime in mare sono immagini che scorrono nel sottofondo delle coscienze, come lo sfruttamento del lavoro. Non ne sono colpevole ma certamente responsabile come cittadina di questo paese.
Si è ricostituita una feroce scala sociale e la salvezza, qui dove vivo, è stare aggrappati al proprio gradino perché facilmente si può scendere e guardare la moltitudine che vive negli inferi dà la vertigine.
Le piccole storie rivelano, così come un minuscolo frattale riproduce il tutto.
Perché ricordare e che cosa ricordare? Per chi ricordare? Giovani nate e nati vent’anni fa cominciano a fare la loro parte per il futuro: da che parte stanno?
Non vedrò la loro vecchiaia, quanto renderanno muta la mia? Guardo la vita con lucida compassione.
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Il riscatto di Europa

Una donna stuprata e ferita non resta fissata nell’esistenza di vittima, può riscattare la sua vita presa in ostaggio dalla violenza e riparare le fratture, ricucire gli strappi, curare le ferite.
Può perfino crescere figlie e figli nati dalla violenza e farne donne e uomini che rinnegano e mutano la cultura del padre, le leggi scritte e non scritte del Patriarcato.
Una donna può uscire dalla violenza, rialzare la testa, lenire il dolore, la mortificazione, può chiedere e accettare aiuto, può sottrarsi allo stupratore, al maschio violento che vorrebbe fissarla allo squarcio del possesso e cominciare a scrivere un’altra storia.
Un percorso individuale che può essere solo collettivo, può cominciare dentro una minuscola collettività di donne e ampliarsi fino a includere l’immaginario collettivo, la consapevolezza di donne e uomini, reti parentali e amicali, comunità dialoganti più che identitarie.
Le donne e gli uomini abitanti l’Europa posso oltrepassare la fissità del mito di una giovane donna oltraggiata da un dio maschio: le donne non sono più solo giovani prede a cui imporre il processo riproduttivo della specie (e quindi della cultura vigente), gli uomini non sono dei e possono uscire dall’immaginario eroico e violento che li inchioda al corpo a corpo con la morte attraverso la guerra costante all’alterità e quindi anche a sé perché ogni essere della specie umana è insieme un io e molte alterità.
Una donna, Ursula Hirschmann, sposata a Eugenio Colorni, ha portato il Manifesto di Ventotene all’antifascismo ancora clandestino, come ha ricordato Altiero Spinelli.
Quella donna, il suo entusiasmo e coraggio, le sue convinzioni politiche, i suoi passi in un mondo che dalla clandestinità ha conquistato la libertà sono già la rappresentazione concreta del riscatto di Europa.
Il mito si è fatto storia che cammina con i nostri passi, di generazione in generazione, un nome diventato comune fatto di molti progetti di donne e uomini che sanno unire buona volontà e pensiero critico. Non è facile né scontato, si tratta di scegliere ogni giorno.
Una politica comune ispirata ai principi del Manifesto di Ventotene, aggiornata con il pensiero femminista, l’unica grande cultura politica che non ha mai avuto la guerra tra i suoi principi e non si fonda su dichiarazioni astratte ma, concretamente, sulla gestione nonviolenta dei conflitti, è la strada sui cui ci stiamo muovendo, tra mille difficoltà, incertezze, boicottaggi.
Siamo in molte e molti a sapere che non c’è altra strada se vogliamo pensare al futuro.
Persone e popolazioni vogliono una vita degna di essere vissuta.
 
Pensando all’Afghanistan, alle donne e uomini in fuga che cercano asilo in Europa e sono già parte del nostro futuro con le loro scelte, con le nostre scelte.
 

21 luglio 2021: benemerenza

Ci sono momenti in cui l’imprevisto accade, anche nella sequenza più prevedibile, in una regia stabilita, dentro significati già definiti.
Non ho mai pensato di poter ricevere un riconoscimento istituzionale e quando mi è stato comunicato ho provato più sorpresa che piacere.
Un velo di diffidenza e imbarazzo perfino per la gioia sincera delle amiche e compagne di strada.
Essere un’attivista femminista è stata per tutta la vita la condizione che ha messo il segno negativo accanto a qualsiasi esperienza o risultato, una perenne sottrazione di valore, di credibilità, di agio, una perenne necessità di spiegazione, giustificazione, impegno, revisione, autocoscienza.
Una perenne cancellazione.
Una perenne invisibilità.
Una sequenza di piccoli grandi disconoscimenti da elaborare, affrontare, superare.
Il costante pensiero di sbagliare, di essere sbagliata, di essere nata per sbaglio.
Sono grata al movimento Nonunadimeno per avermi proposta, alle tante donne e associazioni per aver appoggiato la candidatura, a Romina Russo per aver fatto la differenza.
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La contrattazione di genere: una visione per il possibile

Piattaforma per una contrattazione di genere: questo è il titolo che abbiamo dato a un testo elaborato nel 2017 da un gruppo nazionale dell’UDI al termine di un percorso, durato tre anni, che ha visto il momento culminante nel seminario “Lasciateci lavorare”, di cui sono disponibili gli atti.
A tre anni di distanza ci troviamo collocate nella discontinuità introdotta dal Covid19 e quindi in un tempo che richiede almeno la revisione e aggiornamento dei criteri con i quali ci siamo mosse nella politica.
Nella storia dell’Udi considero questo testo il punto d’arrivo di una lunga storia di contrattazioni efficaci che hanno contribuito a conquistare una democrazia paritaria, come si usa dire, vincendo la lunga lotta per l’emancipazione, parola che la mia generazione, le femministe degli anni ’70, ha compreso pienamente solo nell’età adulta, quando abbiamo imparato a conoscere e vedere le lotte delle donne e la loro lungimiranza dentro il contesto di epoche e leggi che, proprio grazie a loro, ci sono state risparmiate.
Il testo (allegato in fondo) è già di per sé il frutto di una contrattazione collettiva sul significato dei termini come sulle richieste e se da un lato rappresenta una significativa elaborazione dell’associazione dall’altro non ha trovato realizzazione per la mancanza di condizioni concrete che consentano davvero la contrattazione, che non può mai essere solo un atto unilaterale, una dichiarazione di piazza, un piano attuabile direttamente, ma ha bisogno di pratiche agite da soggetti dentro luoghi, istituzionali e sociali, e perfino privati.
Questo testo non ha trovato una sua utilizzazione concreta ed è stato di fatto accantonato, spero temporaneamente, anche dall’Udi, perciò mi assumo la responsabilità di rendere visibili alcuni pensieri sparsi che mi hanno accompagnata nel lavoro e che non ho avuto modo di condividere.
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2001-20021: Genova dopo vent’anni

Da vent’anni il mese di luglio mi riporta la memoria di Genova. Un appuntamento con me stessa prima di tutto, la scrittura nell’intimità di parole non esposte.

Ripropongo intanto la trascrizione dal mio diario del 2001:

Domenica 22 luglio

Il giorno dopo. Una stanchezza cupa che intride le ossa e i pensieri, al telefono i concitati resoconti di chi era da un’altra parte e ha vissuto lo stesso panico, i compunti e ipocriti commenti televisivi, un residuo di bruciore agli occhi e difficoltà di respiro, traccia e sogno di una giornata frammentata in attimi lunghissimi ed ore brevi, avvertiamo l’inesorabile sfasatura dell’alfabeto con cui si misurano le parole come se il respiro non riconoscesse il passo consueto.
Partenza presto, la sveglia puntata alle cinque viene preceduta dal rumore in cucina: Giordano sistema i panini nello zaino impaziente di incontrare gli amici come se si trattasse di un appuntamento solenne e collettivo con la storia.
Sorrido con indulgenza mentre mi vesto senza fretta, respingo i pensieri che girano intorno alla tragedia del giorno prima, mi preparo per la manifestazione come per una gita estiva, saremo in tanti, penso, e non può succedere nulla, sarebbe un’enormità. Riempio il tempo laccando le unghie dei piedi e metto le ciabatte estive invece delle scarpe che avevo preparato, rinuncio anche alla camicia per una canottiera che il sole mi lascerà incisa addosso come il segno bruciante della giornata. Leggi tutto “2001-20021: Genova dopo vent’anni”