Guardo sempre con interesse le donne che si candidano perché so che le donne consapevoli della propria storia di genere, se dialogano con la storia politica che ha reso possibile il loro esercizio dei diritti, possono fare la differenza.
In questo paese, Cortenuova, nel quale vivo e voto dal 1978, ho guardato con particolare attenzione e perfino speranza a donne, da molti anni più giovani di me, che decidono di cimentarsi nell’amministrazione del bene pubblico.
Mi amareggia il fatto che queste donne decidano di presentarsi come CandidatO SindacO, come se l’essere donna non fosse l’appartenenza a un genere che è più della metà della specie umana, ma solo un caso della vita da nascondere se ci si presenta in pubblico.
Una donna che si presenta al maschile cancella anche me come cittadina che conosco, e non voglio mai dimenticare, la lotta condotta dalle nostre madri e nonne e bisnonne (e anche da me che ormai appartengo a una generazione anziana) per conquistare diritti per tutte noi, cambiando la qualità della vita delle figlie e anche dei figli, perché la libertà delle donne migliora la vita di tutti e tutte
Ci sono donne in questo paese, l’Italia, che hanno scritto la Costituzione, hanno fatto le leggi, hanno cambiato la scienza e donne così autorevoli da riformare perfino la grammatica.
La parola sindaca non esisteva nella lingua perché era un ruolo vietato alle donne e molte donne sono morte per conquistare a tutte noi oggi la libertà di candidarci per qualsiasi ruolo.
Perché allora usare il ruolo al maschile, visto che si tratta di un errore che rasenta il ridicolo, se pensiamo anche solo alla frase “IL sindaco ha partorito”?!
La grammatica non è una scelta politica e non ha partito, ma in italiano ha il maschile e il femminile.
Che cosa significa per una donna, oggi, presentarsi per un ruolo usando il maschile?
Vuole riconosce che i ruoli sono solo maschili e le donne devono attenersi alle regole stabilite circa cinquecento anni fa, considerate superate perfino dalla presidenza del Consiglio dei Ministri nel lontano 1987 e da qualche anno perfino dall’Accademia della Crusca?
Oppure vuole rassicurare un elettorato che pratica il maschilismo e considera l’uso corretto della grammatica un fatto politico disgustoso e da combattere?
Fabiola Gianotti, che dirige cinquemila scienziati/e di tutto il mondo dovrebbe evitare di definirsi scienziata? O la Rettrice dell’Università di L’Aquila dovrebbe tornare a chiamarsi Rettore?
Il maschilismo è una cultura pericolosa, la stessa cultura dentro la quale cresce quella violenza che in Italia uccide una donna ogni 72 ore.
Si tratta di una delle grandi emergenze che deve affrontare chi si candida a un ruolo di governo e vorrei ricordare che le donne sono la maggioranza in questo paese e per fortuna ci siamo conquistate il diritto di essere noi stesse ovunque, anche con posizioni politiche diverse, ma senza l’obbligo di camuffarci da uomini.
Se una donna si presenta come uomo, ed è quindi un’imitazione, le donne stesse spesso preferiscono votare l’originale, cioè un uomo.
Non basta essere donna per fare buone cose ma essere consapevole della propria storia di genere aiuta a capire l’intera cittadinanza, costituita da donne e uomini, e spesso, come vediamo in tutto il mondo, a operare scelte coraggiose per il bene comune.
Un’ultima cosa: le citazioni scelte per le righe di separazione dei capoversi del programma, sono interessanti e tutte condivisibili, ma possibile che non abbiate trovato nemmeno una donna?
Eppure le donne hanno parlato e scritto, anche cose straordinarie.
Perché mai una donna dovrebbe mettere a tacere le donne?
La forma, in ogni circostanza, dice molto della sostanza.