Sono convinta che se venissero azzerati i diritti ereditari (cioè il passaggio familista dei capitali, delle opportunità, dei privilegi) e si perseguitasse, anche penalmente, la fruizione gratuita o sottopagata dei servizi domestici delle donne (e di chiunque), la famiglia che conosciamo, in tutte le sue forme parentali stratificate per età, si dissolverebbe, con enormi ricadute sull’economia, la definizione del valore dei beni e delle relazioni ecc. ecc. a ricasco.
Non so se accadrà, certo non nel futuro prossimo, ma non si sa mai.
Intanto mi piacerebbe venisse perseguita, almeno dal punto di vista della riprovazione collettiva, la famiglia stucchevole.
Il termine, che deriva dallo stucco, non si riferisce più solo ai buchi nel muro da chiudere, ma prima di tutto a un gusto che diventa immediatamente disgusto, nauseante per eccesso di dolcezza o densità (qualcosa che tappa un buco fino a provocarne il vomito?).
In questo tipo di famiglia tutti i bambini si chiamano “amore” in ogni circostanza, risolvendo forse così la fatica di distinguerli in maschi e femmine e di ricordare il nome proprio. La distinzione viene poi affidata, spesso rigorosamente, anche se non da tutti i genitori, all’abbigliamento, ai comportamenti, ai giochi.
Abbigliamento, comportamenti, posture, gestualità, giochi, sono fortemente identitari per colori e stile: guerra e calcio per i maschi, seduzione e arroganza per le femmine.
Se la prole sfugge alle prescrizioni identitarie (grazie all’eterna creatività infantile) abbiamo l’indulgenza per le bambine-maschiaccio, più rara la tolleranza per bambini dolci e sognanti.
Tutte le tipologie di famiglie, perfino quelle che si richiamano a principi identitari opposti, tendono comunque ad essere accomunate nella più ampia tipologia della famiglia stucchevole, spalmata sui social per ogni compleanno o altro evento, con corolla di parenti e amici che plaudono ripetendo le parole chiave con inevitabili cuoricini.
Nella famiglia stucchevole ti chiami “amore” anche quando vieni strattonata al supermercato, quando urli e urti le persone in coda, quando spintoni un compagno o metti in atto un ricatto per ottenere qualcosa, ti chiamano amore anche quando ti mollano una sberla in pubblico (potrei documentarlo) creando quanto meno una dissonanza cognitiva.
Sarà forse per questo che le giovani generazioni tendono a utilizzare meno parole, visto che i significati sono friabili, incerti, discontinui, contraddittori e comunque onnicomprensivi?
I bambini e le bambine delle famiglie stucchevoli mettono l’alloro in testa quando si laureano e sospetto che non si tratti di un gesto ironico, di una presa in giro dei riti accademici, (che i bambini e le bambine degli anni ’70 avevano semplicemente dismesso come retaggi della società classista), ma di una convinta celebrazione.
Va detto che negli anni ’70 l’università costava meno, il presalario non era una mancia e, se lavoravi, potevi perfino utilizzare le 150 ore per fare esami; oggi l’investimento delle famiglie è tale che merita ben più di una corona d’alloro e inchioda molte ragazze e ragazzi a un dovere di gratitudine che pesa come un’ipoteca sulla vita (e spesso, sempre in nome dell’AMORE, chiede rate di asservimento personale mai risolvibile).
Per il gusto corrente, che gira nelle immagini di TV e social, la critica ai riti e miti della società borghese sembra materiale archeologico; perfino le analisi più raffinate evitano la parola capitalismo, diventata desueta da quando, il capitalismo appunto, ha conquistato le forme di produzione dell’immaginario sociale dentro le quali nasconde abilmente il rilancio dei suoi caposaldi: gerarchia sociale classista (opportunamente combinata con sessismo e razzismo ove necessari) e sfruttamento, ingrediente essenziale.
La famiglia stucchevole spalma sui mezzi social parole e immagini un tempo riservate all’intimità dei sentimenti e alla cerchia degli affetti.
La famiglia stucchevole parla con i morti per annunciare i decessi e in ogni anniversario: rinnovando antiche credenze con le ultime invenzioni digitali non scrive “mi manca tanto …”, e pazienza se il bisogno di esibire tracima un tantino dal bisogno di ricordare, ma si rivolge direttamente alla persona deceduta pubblicizzando un accorato “mi manchi …”.
La retorica della famiglia stucchevole ha conquistato anche i movimenti che oggi si definiscono comunità lgbtq+, un tempo frastagliata e coraggiosa opposizione al sistema patriarcale rinnovato nel capitalismo, oggi apparentemente compatti nella richiesta di diritti nel nome ecumenico di un amore che sembra valere solo nella legittimazione matrimoniale o nell’ottenere figli anche attraverso l’asservimento di donne ridotte a contenitori riproduttivi. Ad alcuni sembra che la prestazione gestazionale possa essere nobilitata se diventa gesto d’amore, come se l’affetto non potesse generare asservimenti ben più potenti del denaro.
Non può esistere un diritto ad avere figli come non esiste il diritto di venire al mondo, se non nelle politiche eugenetiche di governi dittatoriali o nei deliri di religioni fondamentaliste.
In realtà mettere al centro le vite reali di bambini e bambine significherebbe sovvertire molte leggi inique.
Voglio ricordare che le leggi pensate e volute dal movimento delle donne in Italia hanno modificato la legislazione sulla famiglia fino ad arrivare alla cancellazione del termine potestà a favore della responsabilità genitoriale ragionando intorno al valore sociale della maternità e ai diritti dell’infanzia, che vanno affermati e tutelati a prescindere dalla famiglia in cui si nasce.
Mutamenti legislativi che hanno al centro l’affermazione dell’autodeterminazione delle donne nelle scelte riproduttive, fondamento di libertà per tutte e tutti.
Invece oggi, mentre il femminismo si divide in femminismi (sulla scia di quello che un tempo era il socialismo? Forse in omaggio all’emancipazione imitativa che appare vincente?), viene oscurata la relazione tra libertà e responsabilità a favore dell’amore stucchevole, affermato con la certezza di un’assicurazione sulla vita e così esibito da ammutolire chi dovrebbe sentirsi amato e amata, che rischia di ritrovarsi senza più parole per dire.
Da anni penso che il matrimonio (tra due persone dello stesso o diverso sesso) dovrebbe almeno essere “a termine”, siglato per un tempo ragionevole, come tutti i contratti, rinnovabile anche nelle condizioni e garantito per ogni contraente dal sistema pubblico per quanto riguarda i servizi domestici e l’abitazione, esigenze che mutano con l’età.
Sono favorevole alla liberazione di figli e figlie dagli investimenti famigliari, con scuole gratuite finché vogliono studiare e organizzazione di percorsi socialmente solidali negli anni della crescita per lavori di cura relazionale e tutela ambientale.
Qui comincerei un discorso serio sui diritti umani di chi nasce, con annesso superamento delle frontiere che dividono e condannano, ma andrei oltre il proposito di qualche battuta estiva perché parlare delle condizioni che favoriscono la passibilità di essere famiglia amorevole è compito ben più arduo e passa anche dalla differenza tra “ti voglio bene” (ormai ridotto a T.V.B. come R.I.P). e “voglio il tuo bene”.
Insomma: liberare le famiglie e potersi liberare dalla famiglia, ma intanto lavoriamo per l’estinzione nonviolenta della famiglia stucchevole, togliamo questo peso dallo stomaco dei sentimenti e lasciamoli respirare.