Se dico casa … 2013

Se dico casa
dico cose
fioriture screziate di rose gialle
e pigri maggiolini
bave lucenti di lumaca
nel sottobosco minuscolo
di un solo biancospino
il cucù
che sparisce nella sua porticina
la bambina che esce sul poggiolo col sole
e d’inverno torna nella sua casina
 
Se dico casa
dico bucati
profumo di sapone nei mastelli
e braccia femminili a torcere lenzuola
immagino serve e serve nei castelli

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Collettive: il filo rosso delle donne di Lecco

Lecco è una piccola deliziosa cittadina lombarda dove sono stata invitata per varie iniziative  fin dagli anni ’80 del secolo scorso, quindi conosco molte donne a Lecco.

Mi sono emozionata quando Enrica Bartesaghi e Tita Papini, appena conosciute, sono venute a trovarmi e mi hanno illustrato il loro progetto di ricostruire in una mostra la storia del movimento delle donne a Lecco.

Il filo rosso, l’hanno intitolata e il significato è espresso molto bene dalla presentazione di Enrica nel libro che raccoglie tutti i testi della mostra, per ora rimandata a causa del Covid19. 

Considero un grande riconoscimento che mi abbiano chiesto di scrivere l’introduzione al libro, in attesa della realizzazione della mostra e di poterla commentare in presenza, come si dice ora. Intanto se avete occasione cercate questo libro.

COLLETTIVE 
Introduzione in Il filo rosso, Storie del movimento delle donne a Lecco, 2020

L’incontro collettivo gioioso, ironico, arrabbiato. E profondo, leggero, curioso, straziante, intimo, orizzontale: collettivo. E svelante, diffidente, impegnato, creativo, imprevisto, lungimirante, presente … e sempre collettivo: questo è stato il femminismo degli anni Settanta.
Fu la stagione dei collettivi e per noi la collettività era una visione dell’esistere come donne, una visione che allargava lo spazio angusto delle nostre vite e sosteneva con la sua aura il più piccolo sperduto gruppo che si riuniva nel più piccolo sperduto paese della nostra lunga penisola.
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Ultima puntata di parole da casa: dedicata a Cortenuova

Parliamo continuamente di comunità: virtuali, identitarie, perfino ideologiche, nonostante sia stata dichiarata la morte delle ideologie, e non sappiamo più come vivere comunità fatte di prossimità fisica.
Superata, almeno in apparenza, la comunità che operava il controllo sui comportamenti e definiva condanne ingiuriose, ostracismi, solitudini, resta la comune fruizione di servizi a cui si accede singolarmente o nella singolitudine famigliare, chiusa come un fortilizio, e ci si ritrova come collettività in rare e sbiadite occasioni pubbliche o, al massimo, per protestare contro una minaccia.
Il coronavirus è una minaccia che ci ha chiusi in casa più di quanto non lo fossimo già e la casa, luogo fondamentale di sopravvivenza, quando è chiusa rischia sempre di diventare piccolo circuito di ossessioni, per la pulizia, per la sicurezza, per la ricchezza ostentata e mai goduta, per la dissimulazione dei problemi, luogo di reclusione agiata, di vuoto, di rituali insoddisfacenti.
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La scuola per un mondo possibile

A un certo punto bisogna concludere, anche sapendo che molte cose mancano. Da molto tempo cercavo di non pensare alla scuola per non reiterare sentimenti di impotenza e delusione, consapevole che la mia posizione sociale oggi mi pone nella condizione di un’ex insegnante che non conta nulla. Quest’esercizio di scrittura, di cui vedo tutte le lacune, si ferma qui. Sono grata ad Alessandra Bocchetti per avermelo chiesto e per aver rimesso in moto pensieri che hanno lievitato per anni, perfino a mia insaputa. Ciò che oggi non sembra possibile potrebbe diventare ovvio domani, per questo continuo a fare la mia parte e cerco di farla onestamente evitando di fare danno, così come ho insegnato a scuola.

QUALE SCUOLA PER QUALE SOCIETÀ?
 
Paura, prudenza, coraggio: abbiamo bisogno di accompagnare la sequenza dei nostri sentimenti fino a ritrovare l’azione che nasce dal cuore, mantenendo il pensiero in sintonia con il ritmo della vita che misteriosamente prescinde dalle nostre decisioni eppure ne è sempre condizionato.
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Se parliamo di economia la scuola è in credito

Nei mesi della pandemia la scuola non ha chiuso, è stata un presidio sociale e sanitario che ha saputo reinventare le forme della sua esistenza mantenendo, anche a distanza, la sua funzione con un lavoro del personale del tutto inedito e, va ricordato, in forme impreviste dal contratto, con una capacità di lavoro e un ventaglio di competenze che smentiscono, spero per sempre, anche gli ultimi residui dell’odiosa campagna che indicava nelle/negli insegnanti i primi fannulloni di tutta la categoria delle/dei dipendenti pubblici.
Come tutti i presidi sanitari (soprattutto pubblici), le scuole hanno prodotto un superlavoro, un surplus di impegno, tempo dedicato, creatività e competenza, sostegno affettivo e inventiva culturale. Le scuole non hanno chiuso i battenti ma solo gli edifici.
Come tutta la sanità la scuola era già in credito da molti anni: credito di edifici, di personale, di attenzione politica.
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Parole da casa: abbiamo conquistato l’emancipazione, ora usciamo dal patriarcato

Dietro di noi abbiamo generazioni di donne che hanno lottato e lottato e lottato, in casa e fuori casa, in solitudine e in collettività politiche, per salvare la propria vita, per la vita di tutte le donne, per la vita di tutti i nati e nate da donna sul pianeta, per la vita del pianeta.
Veniamo da una lunghissima storia di conquiste e sconfitte e la sconfitta delle donne ha sempre significato sconfitta di una società intera, guerra, morte, distruzione, genocidio, paura.
Abbiamo ricominciato ogni volta da noi, dalle nostre case, dalle nostre, vite, cambiando relazioni, quotidianità, leggi.
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Segnatempo per la scuola

Pensiamo il territorio per differenze, il viaggio per tappe, il tempo per date e durate.
La parola segnatempo non esiste ma l’ho inventata, orecchiando il segnaposto, perché noi inventiamo momenti, quelli che oggi chiamiamo impropriamente eventi, per segnare i passaggi importanti personali e collettivi.
Nello scorrere dei giorni scolastici ricordiamo qualche imprevisto, qualche incontro e i momenti collettivi come le gite scolastiche e le cerimonie o feste che hanno segnato il passaggio a un diverso ordine scolastico che rappresenta un passaggio d’età, di responsabilità, esperienze, e a un certo punto scelte.
Apriamo la possibilità della movida ma non riusciamo a pensare collettivamente un rito di passaggio per i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze che lo scorrere inesorabile del tempo, quindi l’età, trasferirà a settembre in un mondo scolastico diverso.
Al massimo la discussione si è stanziata sugli esami in presenza senza pensare che gli esami sono anche un passaggio cruciale nelle relazioni tra una collettività di adulti, insegnanti, e quella di allieve e allievi.
Non ho sentito una parola sulla dignità della relazione affettiva intrinseca ad ogni relazione educativa senza la quale l’insegnamento sarebbe solo addestramento e l’apprendimento occasionale memorizzazione.
Perché il 2 giugno, dal quale viene finalmente cancellata la parata di mezzi militari, di fatto incongruente con l’art. 11 della Costituzione, non festeggiamo la scuola e insieme alla scuola tutti i lavori della riproduzione sociale che abbiamo dovuto onorare come indispensabili?
Perché per settembre non viene pensata una festa della scuola, collettiva e diffusa, nelle case dove tutte e tutti abbiamo cominciato il nostro apprendimento della vita, dalle case dove siamo rimasti in protezione?
Invece di spaccare il capello in quattro per pensare la valutazione a distanza, operazione impervia fino al ridicolo, perché non diffondiamo la proposta di pensare a una festa, sicura per la nostra salute, creativa per la libertà dei talenti, nutriente per la vita collettiva democratica e la speranza del futuro che comunque le nuove generazioni rappresentano?

Parole da casa: scuola fuoritempo

Il tempo scolastico è una delle strutture portanti dentro cui siamo cresciute/i, a cui si assoggettano i sistemi famigliari e perfino, in parte, quelli produttivi, perché diventa una forma interiorizzata, una scansione dei giorni e delle stagioni, un ritmo dell’agire umano.
La necessità di lottare contro il coronavirus non ha soltanto, e certamente, sottratto il diritto all’istruzione ma, chiudendo la scuola, ci consente di vedere con chiarezza le strutture riproduttive della nostra società, tra le quali la scuola, insieme a sanità e pubblica amministrazione, è la più importante e pervasiva.
Scuola, nel senso originario greco di Skholé, significa tempo libero e in questa direzione è stato pensato e conquistato il diritto allo studio, come tempo liberato dal lavoro, e quindi dal lavoro minorile, dalle incombenze domestiche, dagli obblighi della condizione sociale e familiare, dalle limitazioni della condizione personale.
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Alle 21 Donne della Costituente: noi, eredi riconoscenti

Molti anni fa Lidia Menapace nel necrologio per la morte della madre scrisse di essere contenta di aver avuto come madre non una madre simbolica, non una madre badessa, non una regina madre, ma una ragazza emancipata allegra e ironica.
A noi ragazze ricordava sempre che sua madre si definiva una ragazza emancipata durante il fascismo, quando l’aggettivo significava puttana e perciò le figlie ragazzine si stupivano un po’ imbarazzate.
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Parole da casa: Madri in festa?

A tutte le donne che sono madri di se stesse, perché è l’unico modo di diventare adulte.
A tutte le donne che riconoscono le madri perché sono consapevoli di essere figlie.
A tutte le donne che riconoscono le donne accanto a loro, anche senza definizioni famigliari o reverenze genealogiche.
A tutte le madri che servono senza diventare serve.
A tutte le madri che dicono no.
A tutte le madri che non sono onnipresenti
A tutte le madri che non sono onnipotenti
A tutte le madri che sbagliano
A tutte le madri che lasciano sbagliare
A tutte le madri che se la squagliano
A tutte le madri che non fanno la maestra
A tutte le madri che inventano ogni giorno la propria festa
A tutte le madri che ti tengono nel cuore ma praticano la libertà dell’amore
A tutte le madri che non si vantano
A tutte le madri che si stancano
A tutte le madri senza retorica
A tutte le madri a termine
A tutte le madri che sanno cambiare
A tutte le madri che non mettono i figli all’occhiello o sulla targhetta di casa
o nella borsetta
A tutte le madri che disertano, che non esibiscono, che non si compiacciono
A tutte le madri che si fidano
A tutte le madri che non sono compiacenti
A tutte le madri che ti accompagnano mentre impari a camminare
A tutte le madri che non ti tengono al guinzaglio
A tutte le madri che non si sentono indispensabili
A tutte le madri che non ti confrontano, non ti misurano, non ti sfiancano
A tutte le madri che non ti considerano un investimento,
A tutte le madri che non ti spiano, calcolando il tuo rendimento
A tutte le madri che se ne sono andate
A tutte le madri che abbiamo rimpianto
A tutte le madri che hanno fatto il possibile
A tutte le madri che hanno fatto anche l’impossibile
A tutte le madri che hanno avuto un tempo troppo breve
A tutte le madri che hanno la fortuna di un tempo prolungato
A tutte le madri vissute in un tempo difficile, a quelle con un tempo beato
A tutte le madri che s’inventano
A tutte le madri che i figli sanno inventare
A tutte le madri che le figlie possono sognare