Intervista di Tiziana Bartolini a Rosangela Pesenti, NOI DONNE 2011
Tra Punto G e Se Non Ora Quando, una stagione di protagonismo delle donne.
“Stiamo vivendo una crisi di sistema in cui deflagra l’incompatibilità tra l’economia capitalista e l’ambiente, in rotta di collisione con l’economia della riproduzione”. Rosangela Pesenti, mente raffinata del femminismo italiano, affida a ‘noidonne’ alcune riflessioni avendo vissuto personalmente sia Punto G di Genova sia il nuovo movimento – Se Non Ora Quando – che ha preso il via dalle piazze del 13 febbraio e si è poi confermato con l’appuntamento a Siena di luglio.
Parlaci del Punto G 2011. Quali sono stati i temi e il senso dell’incontro?
Ho partecipato al decennale del G8 delle donne, il Punto G, per tante ragioni. C’era bisogno di raccogliere le questioni sottolineate allora: si disse che sarebbe arrivata la crisi del capitalismo, che non avrebbe investito solo i paesi occidentali e l’Italia, ma tutto il mondo. Così è, come vediamo.
Il capitalismo è in crisi perché ha raggiunto le sue ultime frontiere: il totale sfruttamento dell’ambiente ai fini di produzione della cosiddetta ricchezza e il totale asservimento dei bisogni al mercato attraverso la colonizzazione delle coscienze si stanno dimostrando incompatibili col suo stesso sviluppo. L’alienazione umana e la distruzione dell’ambiente bruciano la ricchezza e l’andamento dei mercati finanziari non è altro che il sintomo visibile di un sistema che mangia le sue stesse condizioni di sopravvivenza, cioè l’esistenza umana.
La condizione delle donne è cruciale perché si occupano di quell’economia della riproduzione che viene costantemente cancellata, deformata, mortificata dallo stesso pensiero economico. La riproduzione della specie, cioè la nascita e crescita di bambine e bambini, è il primo “bene” comune, se vogliamo usare una locuzione di moda, il fondamento di ogni cosa.
Non è un caso che contro le donne si scatenino i fondamentalismi religiosi, uno dei temi affrontati con grande chiarezza dalle donne straniere a Genova.
Produzione e riproduzione sono due snodi non ancora affrontati. Mettere al mondo bambini e bambine, crescerli, trasmettere cultura, pulire il mondo, renderlo abitabile, cucinare, assistere gli anziani, sanità, pubblica amministrazione, scuola… tutto questo fa parte dell’economia della riproduzione che non può essere assoggettata al mercato e non può MAI essere regolata dal profitto.
Penso che le merci che produciamo vadano commisurate con la sopravvivenza della specie umana sulla terra e non con le logiche del mercato. Non si può produrre qualsiasi cosa a qualsiasi costo. Questo investe il lavoro, anche nella relazione tra salario e orario. È arrivato il momento di portare a visibilità le donne della vita quotidiana, quelle che in Italia non hanno mai goduto dei loro diritti. Ricordo che quell’articolo 3 della Costituzione che fece scrivere Teresa Mattei, la più giovane delle costituenti, dice che la Repubblica si impegna a rimuovere le cause che impediscono le libertà dell’individuo e la giustizia sociale, ricordo però che abbiamo dietro di noi generazioni di donne per le quali quelle ingiustizie non sono state mai rimosse. Sentivo di voler portare a Punto G la voce della storia da cui provengo: delle lavandaie, delle stiratrici, delle domestiche, delle sarte… perché io sono anche la figlia della serva. Quando facevo la cameriera durante l’università mia madre mi diceva “ricordati che se non ti pagano i contributi sempre serva rimani, anche se ti chiamano colf”.
Una riflessione che è dentro la storia del femminismo come pensiero e pratica politica: una lunga storia ancora esclusa dalla trasmissione scolastica.
Che valore dai tu alla parola inclusività, oggi molto usata?
La questione resta sempre quella delle condizioni che consentono a tutte di esistere e rendere visibile il proprio pensiero sulla vita. In una società ancora profondamente sessista e che non ha mai smesso di essere classista, per non dire razzista e omofoba come la nostra, l’inclusione è una parola che richiede di pensare alle procedure e ai contesti. Dentro il movimento delle donne richiede patti chiari.
Le donne della destra che si sono esposte il 13 febbraio e a Siena hanno probabilmente sperimentato l’esclusione che la borghesia liberale ancora riserva alla parte femminile della popolazione e chiedono a gran voce la parità, il 50&50 della rappresentanza democratica. In questo la trasversalità tra destra e sinistra è nei fatti e il patto tra donne è possibile e auspicabile, ma a me non basta.
Voglio discutere i contenuti a cominciare dalle questioni che la crisi ci presenta e che richiedono un giudizio sulle scelte operate nel passato e sull’intera classe politica.
Conosciamo l’esclusione e la marginalità delle donne, ma ognuna di noi sa che senza il silenzio e l’avallo delle donne, niente si muove nel mondo. E ognuna di noi sa quando e come donne cancellano donne.
Senza memoria storica, senza il riconoscimento delle donne che hanno lottato prima di noi, senza quell’attenzione che pure riserviamo alla storia e al pensiero degli uomini, rischiamo di fermarci agli slogan e soprattutto di impedire la comunicazione tra le generazioni di donne.
L’inclusione richiede in questo momento la lotta per il ripristino di tutte le procedure democratiche, l’elaborazione di proposte per migliorare le condizioni di vita, la generosità di partire da sé e guardare a tutte, l’onestà di dichiarare dove si vuole andare. La cooptazione ad esempio non può essere considerata una procedura democratica.
Dopo il Punto G che ci sarà?
Marea organizza un seminario a Caranzano sul tema del rapporto madri e figlie. È importante che le riviste – ‘Marea’ come ‘Noidonne’, ‘Il paese delle donne’ e altre – tengano aperto il dibattito. Hanno saputo fare rete e hanno dato voce anche a donne come me. Grazie anche a questi spazi abbiamo resistito ai tentativi dei media di manipolare il femminismo. È ricorrente il tentativo di impedirne la trasmissione: è accaduto anche negli anni ’80, ma mi sembra evidente che è impossibile perché si tratta di pensieri che nascono dai vissuti concreti delle donne. Perché ogni donna a un certo punto si guarda intorno e si chiede cosa è successo prima di lei e ritrova il filo di storie che non possono esser cancellate.
A Siena il riconoscimento che ha avuto Lidia Menapace è significativo (standing ovation e applausi spontanei dell’intera piazza, ndr), un riconoscimento alla sua storia. Penso che sia l’unica teorica che ha rinnovato l’economia e anche il marxismo sulla scia di Rosa Luxemburg. A Genova l’interlocuzione tra Lidia Menapace, Susanna Camusso, Lia Masi e Luisa Morgantini è stato il momento culminante per tutte noi, perché loro sono la nostra storia.
C’è un filone di studio che stai approfondendo in questo momento?
Sto lavorando a una tesi di dottorato sulla casa come luogo centrale della sopravvivenza umana a gestione femminile e linguaggio materiale che struttura le relazioni tra i generi e le generazioni.
Continuo a lavorare sull’economia della riproduzione, trasmissione dei saperi e sulle complicità delle donne nel mantenimento delle condizioni che ci danneggiano tutte e tutti. Penso che gli uomini non potrebbero avere questo potere senza la complicità delle donne. Dobbiamo avere il coraggio di dire, ad esempio, che al nord il casalingato di lusso è il sostegno dell’economia criminale e dell’evasione fiscale. Le donne non possono far finta di non sapere.
Al Se Non Ora Quando cosa vorresti dire, a partire dalla piazza di Siena?
A Siena hanno parlato anche molte “sconosciute”, che infatti i media non hanno ripreso: sono loro, siamo noi il cuore e la forza del movimento. Vorrei dire perciò alle donne che occupano posti socialmente prestigiosi (in politica, nelle università, nello spettacolo) di tenerne conto. Vorrei anche fosse cancellata la parola merito per ripristinare la parola diritto. Il merito viene rispolverato quando si vuole attivare una selezione perché il meccanismo economico non consente l’inclusione di tutte (e tutti), perché vi sono più competenze di quante ne richieda il mercato.
Nessuna ha merito di niente finché le donne non hanno diritti, finché l’ingiustizia è sovrana. Se non stiamo con queste donne, se non abbiamo la loro fiducia, non andiamo da nessun parte. Chiamo loro ad essere accanto a noi, a uscire dalla complicità col maschile tanto nel livello privato (a casa e nelle imprese) che nel pubblico. Le donne dei partiti ad esempio, tutte, se vogliono essere qui possono agire il loro potere e usare la nostra forza con un patto chiaro sulle mete comuni.
Siamo in grado di aprire un tavolo paritario che tenga conto delle storie di ognuna su ciò che non condividiamo? Questo sarebbe un grande mutamento di rotta.
È una fase importante per il femminile. Tra la parola opportunità e responsabilità, quale scegli per le italiane, oggi?
Sono due parole inscindibili se vogliamo praticare la democrazia. La responsabilità è il fondamento dell’autodeterminazione, dell’appartenenza a sé che rappresenta il principio della politica democratica, ma senza pari opportunità la democrazia è un guscio vuoto.
Chiunque persegua solo le proprie opportunità senza accedere alla responsabilità del suo essere nel mondo costituzionalmente legato agli altri, finisce col distruggere ciò che vorrebbe costruire.
Le donne hanno storicamente percorso l’esperienza della responsabilità, ora è tempo di affermare l’opportunità di rendere quest’esperienza operante nella politica, cioè nel vivere comune.